Capitolo dieci.

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E varcò il portone che immetteva nella locanda in maniera talmente distratta e con tanto di slancio che per poco non gli andò a sbattere contro. Era intento a sistemare una pila di piatti nella credenza che si trovava nelle immediate vicinanze dell'entrata: una di quelle credenze antiche, di legno massello, con due cassetti e due grosse ante di vetro. Posizionata proprio accanto a un vecchio tavolino, sopra il quale vide un cordless e un grosso quaderno ad anelli, che serviva per le prenotazioni. Sulla parete nessun cartello e nessun logo della locanda. Solo un vecchio calendario, di qualche anno prima, e un ferro di cavallo arrugginito. 
Harry, assorto completamente nei suoi pensieri e distratto da certi scomodi ricordi, spalancò il portone con rigore, facendo sobbalzare il giovane ragazzo che si trovava appena dietro. Per evitare di travolgerlo rischiò di perdere l'equilibrio e di inciampare, ma riuscì ad arrestarsi a pochi centimetri da lui. 

"Oh mi scusi.. scusa, ero sovrappensiero. Sono davvero mortificato!" disse in tono agitato, subito dopo aver ritrovato un minimo di equilibrio. Con le mani protese verso di lui, come a volerlo proteggere da se stesso. 
"No, si figuri. Non è successo nulla. Mi sono solo un po' spaventato." 
Quelle semplici parole pronunciate con dolcezza dal ragazzo colpirono Harry. Pensò che un altro si sarebbe certamente indispettito e gli avrebbe rinfacciato di essere un imbranato. Di avergli fatto quasi cadere i piatti. Invece non lo fece, e non si scompose per nulla. Posò i piatti che aveva in mano e osservò incuriosito l'inaspettato ospite. Nonostante provasse un certo imbarazzo per la situazione e per la mole del ragazzo che aveva di fronte, riusciva a mascherarlo con parole composte e gesti delicati. Si trovavano in piedi uno di fronte all'altro e Harry non poté fare a meno di notare la sua bellezza. E la differenza di statura che c'era tra di loro. Era un ragazzo minuto, a colpo d'occhio pensò che non raggiungesse nemmeno il metro e settanta. I capelli castani sbarazzini e un paio di occhiali da vista che mettevano in risalto gli occhi azzurri e cristallini. Una maglietta bianca e leggera evidenziava la sua carnagione non del tutto chiara e lasciava intravedere le sue forme. Avrà avuto qualche anno meno di lui, circa venticinque. 
"Ero assorto nei miei pensieri e non mi sono nemmeno preoccupato di bussare. Che cafone. Ti ho fatto cadere qualcosa?"
"No, non si preoccupi. E' riuscito a fermarsi in tempo" gli rispose sorridendo. E lo fece mostrando una dentatura bianca e perfetta. Harry pensò che non fosse certamente uno di quei ragazzi da calendario. E ne rimase compiaciuto perché gli uomini appariscenti non l'avevano mai attirato. Si rese conto di non riuscire a staccargli gli occhi di dosso: era una bellezza semplice e delicata. Pensò che avesse un aspetto principesco. E che se fossero stati dentro un libro di favole l'avrebbe portato via con sé. 
"Io sarei venuto per mangiare qualcosa. Sono qui da ieri. Mi sono fermato qualche giorno all'albergo e ho visto le luci della locanda dalla terrazza."
"Ah, quindi è lei lo scrittore?" chiese il ragazzo accennando un timido sorriso. 
"Come?" rispose Harry perplesso, ma per nulla seccato. 
"Lo scrittore. Quello di cui si parla tanto in paese. Venuto qui per scrivere il suo nuovo libro. Non è forse lei?"
"No! Cioè.. forse si. Non sono uno scrittore, non proprio almeno."
"L'hanno anche vista correre per il paese stamattina."
"Ah si, allora sono io" rispose ridacchiando. 
"Non ha l'aspetto dello scrittore" disse lui con una nota d'imbarazzo. 
"Oh beh, grazie, lo prendo come un complimento."
"Comunque si accomodi dove preferisce. Come vede oggi non ci sono clienti. Io vado in cucina a chiamare mio padre."

Harry rispose con un affettuoso sorriso e attraversò la sala di quella piccola locanda per accomodarsi al tavolino più lontano. La televisione, sistemata in alto proprio sopra di lui, era accesa e trasmetteva un vecchio film. Pensò che gli avrebbe fatto compagnia durante la cena.
Osservò la locanda e si accorse che era molto modesta: un arredamento semplice e umile, ma non per questo poco accogliente. Un grosso lampadario antico pendeva dall'alto soffitto sovrastando una decina di tavoli sparsi per la sala, dando l'idea di un ambiente raccolto e caloroso. C'era persino il caminetto. A fianco gli spiedi che d'inverno dovevano essere utilizzati per gli arrosti di carne e di pesce. Una seconda credenza in legno noce scuro conteneva piatti, bicchieri e stoviglie. Aveva più la parvenza di una grande casa che di un ristorante. 
Harry rimase affascinato dai quadri appesi alle pareti bianche. Si alzò in piedi per osservarli da vicino e notò che erano stati realizzati con un tratto molto delicato, che aveva la caratteristica di rendere più veri quei personaggi ritratti. Quasi tutti invernali, con gli alberi mossi dal vento. La maggior parte gli trasmetteva un po' di malinconia, altri erano più intensi, come quello appeso sopra la credenza. C'era raffigurato un pescatore, che stava fermo sul pontile in legno, di spalle. Osservava il lago e con la mano destra si teneva il cappello schiacciato sulla testa, in modo che non se lo portasse via il forte vento. Guardava il lago, che sembrava arrabbiato, ma non ne sembrava spaventato. Anzi, dava l'impressione di volerlo sfidare. 
C'era anche un ritratto. Quello del volto di una donna, di una bella donna, con gli occhi azzurri e la pelle candida. Rimase colpito dal fatto che ogni quadro riusciva a suscitargli qualche emozione. Tutti tranne questo, che al contrario degli altri, lo angosciava. Ogni dipinto, in basso a destra, con una calligrafia elegante e appena accennata, portava lo stesso nome maschile. 

"Mi scusi.." il ragazzo lo chiamò a bassa voce, per non spaventarlo, avendolo visto assorto tra i colori di quei quadri. Harry si voltò verso di lui. 
"Sono bellissimi. Chi li ha dipinti?"
"Un nostro compaesano" rispose con un velo d'imbarazzo e dopo averci riflettuto per qualche secondo. Harry non gli credette, ma non disse nulla. "Sono contento che le piacciono. Mi ha detto mio padre che oggi non aspettavamo clienti e si scusa per la poca scelta. Sarebbe lieto di farle assaggiare qualche antipasto e magari una zuppa, quella che, a dir la verità, stava preparando per noi due. La gradisce?"
"Oh, ma certo. Per me va benissimo, grazie" rispose con decisione. Dopotutto una sostanziosa zuppa e qualche salume del posto non gli sarebbero dispiaciuti. Almeno avrebbe mangiato qualcosa di diverso, invece della solita pizza. Decise di non aggiungere nulla sui quadri. 
Lo osservò allontanarsi vero la cucina. Anche il suo modo di muoversi era delicato e armonioso. Sembrava che fosse accompagnato dalla musica, magari dal suono di un piano. E gli sorrideva sempre. Anche adesso, prima di voltarsi e di incamminarsi verso l'altra stanza, gli aveva sorriso. 

Harry si sistemò meglio sulla sedia, appoggiando la schiena alla spalliera, con lo sguardo distrattamente rivolto alla televisione. Si accorse che il film non gli stava facendo alcuna compagnia, ma che il rumore gli stava invece dando fastidio. Prese il telecomando, che poco prima il ragazzo aveva appoggiato sul suo tavolo, e spende l'apparecchio. Incrociò le braccia, chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi. Dalla cucina provenivano rumori di pentole e mestoli, ma non si sentivano voci. Gli sembrò, però, di udire una melodia. Harry cercò di concentrarsi sulle note. 
Lui si avvicinò al suo tavolo e gli portò un grosso piatto colmo di salumi e formaggi, e una ciotola di olive verdi. Sorrise porgendogli una bottiglia di vino rosso e disse che glielo consigliava vivamente suo padre, che era lui stesso a farlo. 
"Che cosa sta scrivendo adesso? Di cosa parla il suo nuovo libro?" Rimase spiazzato e senza parole. Sia dalla domanda che dalla morbidezza del tono di voce del ragazzo. Dovette pensarci un p' prima di rispondere. 
"Veramente sono in alto mare. Ho qualche idea ma non riesco a svilupparla. Vorrei raccontare una storia d'amore giunta al termine, ma non sono troppo convinto." 
Si sorprese ancor di più della risposta che gli diede. Nessun ragazzo si era interessato ai suoi progetti di scrittura, o perlomeno nessuno gli aveva mai dato l'impressione di esserlo realmente. E lui era sempre stato schivo verso quella forma d'evasione che non amava condividere con gli altri. E parlarne lo infastidiva. Non ne parlava nemmeno con Ben. 
"Il suo libro mi è piaciuto molto. L'ho letto tutto d'un fiato. Spero che lei possa terminare anche questo progetto. Io sarei entusiasta di leggerlo" gli sorrise di nuovo. E stavolta parlò senza imbarazzo, e senza voltare lo sguardo dopo pochi secondi. Harry ebbe l'impressione di essere arrossito. E si accorse che le parole di quel ragazzo gli erano arrivate dritte al cuore. E lui gli aveva risposto con sincerità e trasparenza, con la massima spontaneità. Come se facesse parte della sua vita da molto tempo. 
Lo vide scomparire di nuovo dietro la porta della cucina. Stavolta fu Harry a sorridergli, anche se lui, essendo di spalle, non lo poteva vedere. E non poteva sapere che quel sorriso racchiudeva in sé molto più di un semplice gesto. Non poteva certo sapere che gli aveva appena offerto la miccia con cui far saltare in aria i fantasmi del suo passato. E Harry non poteva ancora sapere che quella miccia stava già bruciando. 

Dopo aver terminato gli antipasti e la zuppa si sentì sazio. Valutò la possibilità di chiedere un dolce ma la accantonò dopo pochi secondi. Sarebbe stato meglio se si fosse tenuto leggero. E non voleva vanificare in poche cucchiaiate la sua corsa mattutina. Si alzò dal tavolo, e lentamente si avviò verso l'ingresso, in attesa che arrivasse qualcuno a presentargli il conto. Mentre osservava qualche vecchio attrezzo di campagna appeso alla parete d'ingresso, sopra il tavolo dell'accettazione, gli si avvicinò con fare trafelato un uomo. Harry capì che si trattava del padrone della locanda. Era un signore abbastanza alto, con i capelli castani e un leggero strato di barba ad incorniciare il suo viso. Aveva ancora il grembiule legato in vita, e non sembrava preoccuparsi troppo di qualche macchia di sugo schizzatagli sopra. Si presentò con tono gentile, calmo e accogliente, scusandosi per non avergli dato la possibilità di scegliere la cena e averlo costretto a mangiare la zuppa. Promise che per i giorni successivi si sarebbe prodigato per offrire una migliore scelta di piatti. E accompagnò questa promessa con un sorriso, che ad Harry sembrò essere sincero, e non di circostanza. Gli chiese anche se avesse voluto mangiare qualcosa in particolare e disse che sarebbe stato ben lieto di prepararglielo. 
Harry rimase colpito dalla cordialità dell'uomo e rispose dicendo che sarebbe andata benissimo qualsiasi cosa e che, anzi, sarebbe stato onorato e curioso di assaggiare quello che l'uomo avesse avuto voglia di preparargli. 
Pagò il conto e strinse la mano al proprietario, con un sorriso. "Allora ci vediamo domani. Passi una buona nottata e in bocca al lupo per il suo nuovo libro."
"La ringrazio. E buonanotte a lei."
"Se le viene in mente qualche piatto particolare lo dica pure a mio figlio Louis. Il ragazzo che l'ha servito stasera." 

Harry rispose con un altro sorriso e uscì dalla locanda. Si incamminò a passo lento e disinvolto verso il suo albergo, facendosi coccolare dal fresco della serata temperata di inizio estate. Mise la mano nella tasca della tuta alla ricerca del suo pacchetto di Camel blue ma si accorse di averlo lasciato in camera. Non se ne dispiacque più di tanto. 
Louis.
Lo stesso nome maschile che aveva firmato i quadri appesi alla locanda. 
Imboccò il pontile che portava al lago e si fermò, con le mani in tasca, proprio a pochi passo dallo specchio d'acqua. Al suo cospetto ebbe come una sensazione di impotenza. Si sentì piccolo, quasi insignificante. Si sedette sul legno, con le gambe stese e accavallate l'una sull'altra. Tirò indietro il busto e appoggiò i palmi delle mani per sorreggersi. Provò una sensazione di sollievo alla schiena. Lasciandosi cullare dal rumore dell'acqua, si perse nei suoi pensieri, con lo sguardo smarrito sul riflesso della luna sul lago. 
Louis. 
Si meravigliò di quanto fosse facile passare dalla malinconia alla serenità, di come bastasse poco per spazzare via le nubi accumulate durante una giornata intera. A volte poteva bastare un evento lieto. In quel caso era bastato un incontro inaspettato. Pensò a quegli occhi azzurri. Aveva voglia di vederli ancora. Si alzò in piedi e si girò per far rientro al suo albergo. Tolse le mani dalle tasche e venne pervaso da una sensazione di paura mista a meraviglia. Rabbrividì. E non per la convinzione che Louis potesse essere la più luminosa tra le stelle, ma perché si rese conto che avrebbe fatto di tutto per raggiungerla e portarla con sé, anche se l'avesse dovuta tirare per la coda.


Tempi sospesi] Larry Stylinson.Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin