Capitolo nove.

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Harry alzò lo sguardo dallo schermo del portatile, e lo posò sui libri che si era portato da casa. Quella decina di  volumi che aveva scelto come compagni d'avventura e che la notte del suo arrivo sparpagliato sul tavolo della veranda. Li fissò come se volesse ammettere anche a loro, e non soltanto a se stesso, che il ricordo di Ben, del loro primo incontro e del loro primo appuntamento, gli aveva fatto male. Come se non volesse rimanere da solo durante questa considerazione. Nel corso degli ultimi mesi aveva provato delle sensazioni positive. Gli sembrava di essere riuscito a superare la delusione e sentiva di aver elaborato quel lutto che lo aveva investito da un giorno all'altro. Talvolta aveva addirittura la percezione di non aver perso poi un granché. 
Ma Harry aveva smarrito la voglia di sognare e ciò che non riusciva a ritrovare era il desiderio di innamorarsi di nuovo. Dopo l'addio di Ben aveva frequentato diversi ragazzi, ma non era riuscito a farlo con convinzione, né a impegnarsi veramente. Con molti di loro aveva solo giocato. Talvolta ci andava al cinema, o a mangiare una pizza. Rare volte riusciva anche a intrattenere qualche piacevole chiacchierata, ma più spesso il tutto si riduceva solo a qualche squallido rapporto sessuale, che si estingueva sul letto matrimoniale del suo appartamento. E la mattina dopo si sentiva sempre un uomo peggiore. Gli capitava di recarsi al lavoro, ancora assonnato, e di provare a portare alla luce qualche aspetto positivo della nottata appena trascorsa. Qualcosa che potesse conservare dentro di sé, ma non ci trovava mai nulla. 

L'unico che gli era piaciuto davvero era Carlos. 
O almeno così pensava durante quei pochi mesi in cui l'aveva frequentato. Si erano conosciuti a una mostra fotografica che era stata organizzata presso un museo cittadino. Era stato invitato da un vecchio amico che aveva collaborato all'organizzazione, e visto che era sabato pomeriggio, e che non avrebbe avuto nulla di meglio da fare, aveva deciso di farci un salto. Nonostante non fosse un amante della fotografia, aveva pensato che potesse essere una buona occasione per qualche spunto di riflessione, o per qualche storia da provare a raccontare. 
Dopo aver girovagato distrattamente per le sale della mostra, senza che nulla avesse suscitato in lui particolari entusiasmi, aveva notato un ragazzo immobile di fronte a una fotografia. Sembrava paralizzato. Era rimasto colpito dal fatto che dentro quella foto sembrava stesse cercando qualcosa. 
Gli si era avvicinato senza dire una parola, e senza che lui si fosse accorto della sua presenza, si era messo a osservare la foto al suo fianco. Aveva riconosciuto subito l'immagine. Gli era sempre piaciuta molto e aveva sempre provato un po' d'invidia per la spensieratezza con cui i due protagonisti si baciavano sul tavolino all'aperto di un bar. Ma non riusciva a capire cosa ci fosse di particolare da catturare per tanto tempo l'attenzione del ragazzo. Gli si era ulteriormente avvicinato, fino a sfiorargli il braccio. E lui, dopo essersi destato da quella sorta di torpore, si era girato e lo aveva guardato. Avevano scambiato qualche battuta sul bacio di Cartier -Bresson che avevano di fronte, e si erano avvisati insieme verso l'uscita del museo. Dopo aver continuato per un'oretta la chiacchierata davanti a una tazza di caffè, si erano scambiati i numeri di telefono. 

Avevano iniziato a frequentarsi spesso. Qualche volta andavano al cinema, altre volte andavano semplicemente a fare una passeggiata sul lungomare, oppure a guardare le vetrine dei negozi. Altre sere restavano a casa a vedere un film. Avevano molte cose in comune. Entrambi amavano le cose semplici e adoravano sedersi sul tappeto a parlare. Dormivano spesso insieme, e altrettanto spesso facevano l'amore. 
Si erano frequentati per circa tre mesi. Poi Harry aveva iniziato ad avere paura. Non tanto di quel legame che si stava solidificando, quanto dei fantasmi dell'abbandono. Non si sentiva pronto a combattere una nuova sofferenza. Aveva una paura fottuta. Ma non l'aveva ammesso, né a Carlos né tantomeno a se stesso. Aveva iniziato a vedere in lui tutti i difetti che fino allora non aveva scorto, o semplicemente ai quali non aveva dato importanza, e si era fatto più freddo e distaccato. Ma non aveva mai avuto il coraggio di parlargli, di dirgli che aveva paura: semplicemente era sparito. Di questo si era pentito e ancora oggi si sentiva una merda. Ma non l'aveva fatto con cattiveria, soltanto, non aveva avuto la forza. Era arrivato alla conclusione di non essere più in grado di vivere una relazione.

Durante il corso di tutta la giornata aveva scritto, più o meno, una buona ventina di pagine. Aveva raccontato la storia di un amore finito, le vicende di un rapporto giunto al capolinea. E di come i due protagonisti facessero fatica a vivere serenamente il nuovo presente. 
Il sole giungeva ormai al tramonto dietro le montagne, e l'acqua del lago sottostante si stava contornando di striature rossastre. Harry, che aveva pensato e scritto senza sosta tutto il giorno, si rese conto di avere fame. E si accorse di non aver fatto nemmeno una pausa per mettere qualcosa sotto i denti. Riportare alla luce i vecchi fantasmi gli aveva provocato una fastidiosa sensazione di malinconia. Decise di accendersi l'ultima Camel blue della giornata. Si alzò in piedi e si appoggiò alla ringhiera della veranda, scrutando dall'alto il meraviglioso panorama sottostante. Notò che le luci della locanda erano accese. Questo voleva dire che avrebbe finalmente potuto mangiare qualcosa, anche se i ricordi gli avevano rovinato la giornata. Non avrebbe permesso che gli rovinassero anche l'appetito. 
Si spogliò e si fece un'altra doccia. Non tanto perché avesse necessità di lavarsi di nuovo, ma per mandare via quell'alone di tristezza che l'aveva pervaso. S'insaponò con abbondante bagnoschiuma e si risciacquò con acqua fredda. I capelli li aveva lavati la mattina, dopo essere tornato dalla corsa, e non lo avrebbe fatto una seconda volta in un giorno. Indossò un paio di pantaloni della tuta neri e una maglietta del medesimo colore. Prese in mano le chiavi della macchina e si avviò verso la porta della sua stanza. Si rese conto di sentirsi di malumore. Si guardò nella specchiera che immetteva alla sala dell'albergo e notò che la sua immagina riflessa era tirata e spenta.

Con la coda dell'occhio notò che, seduto al suo posto al bancone dell'accoglienza, c'era il portiere notturno. Intuì dal volto che dovesse essersi svegliato da poco, ed ebbe l'impressione che avesse meno voglia del solito. Per un attimo volle avvicinarsi per consegnare la chiave della sua stanza, ma poi gli venne in mente che, quantomeno per cortesia, avrebbe dovuto scambiare qualche parola con quello strano personaggio e non era proprio dell'umore giusto. Infilò quindi le chiavi in tasca e senza voltarsi verso il portiere, varcò rapidamente la porta dell'albergo. Come aveva immaginato, l'uomo non lo degnò di mezzo sguardo. 
Aveva deciso di lasciare il cellulare in camera, tanto non ne avrebbe avuto nessun bisogno. E mentre stava per azionare la chiusura centralizzata dell'auto, cambiò idea, e scelse di recarsi alla locanda a piedi. Una passeggiata lo avrebbe aiutato a scaricare quella fastidiosa tensione. Dopotutto ci avrebbe messo soltanto una decina di minuti, e nonostante fossero passate da poco le otto, il sole non era ancora tramontato del tutto e continuava a concedere una generosa parte dei suoi raggi. 
Imboccò a passo spedito il sentiero, e subito notò che la strada sterrata che conduceva al paese era sufficientemente illuminata da una fila di lampioni, che, seppur vecchi, avrebbero svolto a pieno il loro dovere. Si pentì di non aver portato con sé un po' di musica, e cercò allora di distrarsi concentrandosi sui rumori e gli odori che caratterizzavano quel luogo.

Tempi sospesi] Larry Stylinson.Where stories live. Discover now