Capitolo due.

208 14 0
                                        




Harry, così si chiamava l'uomo, appoggiò la valigia sul letto e si tolse la felpa. Rimase con una maglietta intima nera che ne evidenziava il fisico asciutto e scolpito, tipico di un uomo di trent'anni, sportivo e in buona forma fisica. Si mise a osservare la stanza. Non era grande, anzi, era piuttosto piccola, ma per lui sarebbe andata più bene. Un letto matrimoniale affiancato da due vecchi comodini sopra i quali stavano due piccole lampade da notte, e un modesto armadio color mogano a due ante, costituivano l'arredamento essenziale. Non c'era televisione, non c'era il frigo bar. Nemmeno un tavolino, in quanto era stato spostato nella veranda, quella che dava sul lago, così come Harry aveva chiesto al momento della prenotazione. Le pareti erano spoglie, non c'erano quadri né abbellimenti di nessun genere. Era circondato da nude pareti bianche, fatta eccezione per un crocifisso in legno appeso proprio sopra la spalliera del letto.

Uscì sulla veranda in maglietta, sfidando la brezza d'inizio estate, e rimase meravigliato da quel panorama avvolgente. Imponenti montagne sovrastavano il piccolo lago, senza opprimerlo. Harry aveva la sensazione che fossero lì per proteggerlo. Le luci del piccolo borgo coloravano e riscaldavano quel paesaggio solitario. Poche case, qualche bottega, e in lontananza quella che, a prima vista, sembrava essere una modesta locanda.
La scrivania era stata sistemata in modo che desse sul lago, una lampada da quattro soldi, ma funzionale al suo scopo, illuminava la veranda, e una sedia con lo schiena imbottito era stata portata in camera sua dall'androne dell'albergo.

Perfetto, pensò.
E si perse nel riflesso della luna sullo specchio d'acqua, calma e resa scura dalla notte.

Rientrò in camera e aprì la valigia, con movimenti lenti e calmi, incurante della tarda ora. Poggiò sul letto tutte le magliette, le piegò con cura e le sistemò nella cassettiera dell'armadio. Decise di disporle tutte nel secondo cassetto. Appallottolò le coppie di calzini e le sistemò, invece, in fondo al primo. Davanti a loro collocò dieci paia di mutande, minuziosamente piegate per guadagnare spazio. Mentre nelle grucce dell'altra anta, quella destra, appese i pantaloni e le camicie, rispettando un personale criterio. Alla sua sinistra mise tutti i pantaloni, divisi tra jeans e quelli sportivi. Alla sua destra sistemò, invece, le camicie. Appese prima quelle di un solo colore, più elegante, poi quelle colorate e a fantasia: tutte di vestibilità larga e morbida. I vestiti che aveva portare per fare sport li adagiò, piegati, sui ripiani posti sopra cassettiera, tutti insieme, senza seguire alcun ordine particolare.

Portò in bagno tutto l'occorrente per la doccia, sistemò lo spazzolino e il dentifricio nell'apposito bicchiere poggiato su una piccola mensola adiacente al lavandino e osservò la sua immagina riflessa nello specchio. Non si reputava particolarmente bello. Non una bellezza mozzafiato almeno, ma sapeva benissimo che la maggior parte delle persone la pensavano diversamente. E di questo Harry aveva sempre avuto piena consapevolezza.
Le prime rughe che segnavano il viso gli conferivano un aspetto maturo, e la capigliatura era ancora molto folta. Capelli disordinati, la barba corta e curata, e occhi verdi e profondi. Tutto sommato si piaceva: si era sempre piaciuto. Dà un po' di tempo però i suoi occhi erano vuoti. Avevano perso vitalità e sembravano avvolti da una patina di tristezza.

Dalla valigia estrasse il computer portatile e lo poggiò sul tavolino della veranda. Lo stesso computer con il quale aveva battuto le pagine dell'unico libro che era riuscito a pubblicare. Si rese conto che erano passati più di due anni ormai.
Dalla tasca dei pantaloni tirò fuori un pacchetto di Camel blue e ne estrasse una. Nell'ultimo periodo aveva iniziato a fumare. La accese e ne aspirò il fumo, rivolgendo lo sguardo verso le luci del piccolo villaggio sottostante. Pensò che il giorno dopo avrebbe potuto fare una passeggiata. Quel posto gli sembrava più desolato di quanto non lo avesse immaginato, ma dopotutto l'aveva scelto lui. Era sicuro che solo in un posto come quello sarebbe riuscito a ritrovare l'ispirazione e a raccontare la storia che aveva in mente. Che gli sarebbero serviti proprio la calma e la serenità di quel luogo.
Aveva deciso di prendersi una settimana di vacanza dal lavoro, di prenotare la stanza con la veranda e di dedicarsi solamente alla scrittura. Di fuggire dalla quotidianità e dalla monotonia del suo lavoro. Di lasciare la città e rifugiarsi sotto la luce della luna.

Non ho sonno, pensò, meglio così. Vorrà dire che mi metterò subito al lavoro. Dopotutto, sono qui per questo.
"Sei proprio sicuro di essere qui per questo?" per un attimo ebbe l'impressione di sentire questa risposta provenire dal silenzio. Fu una sensazione talmente nitida che pensò, addirittura, di essere stato lui stesso a replicare a voce alta. Ma era convinto di non averlo fatto. E nessuno poteva aver parlato con lui, nel fresco di quella veranda. Harry non si preoccupò tanto per questo, anzi, non se ne preoccupò per nulla.
Rabbrividì, però, quando si rese conto che quella voce non aveva tutti i torti.

Ancora in piedi e con la sigaretta in bocca accese il computer. Si sgranchì la schiena e rientrò in camera. Dalla valigia, ancora poggiata sul letto, tirò fuori una ventiquattrore nera e la portò con sé in veranda. All'interno c'erano una decisa di libri, quelli a lui più cari. Non sapeva a che cosa gli sarebbero serviti, ma prima di partire aveva sentito la necessità di portarli con sé. Aprì la valigetta e li sparpagliò sul tavolino, tutti intorno al portatile che si stava finalmente illuminando. Si sedette sulla sedia con lo schienale imbottito e si rilassò; o quantomeno provò a farlo. Espirò una boccata di fumo piegando leggermente il collo all'indietro e poggiò la mano destra sul mouse. Aprì la cartella che conteneva tutta la sua musica. Selezionò a caso qualche brano musicale, creando una playlist che, a basso volume, avrebbe preso per mano il silenzio. Senza violarlo.
Aprì il programma di scrittura, fissò la pagina bianca, e si rese conto di non saper proprio da dove cominciare. "Ma chi voglio prendere in giro?" disse a voce alta, con tono sentenzioso. Senza rendersene conto si era rivolto al cuore del lago. Attese qualche istante una risposta che, ovviamente, non arrivò. Non perché avesse bisogno di un riscontro, ma perché aveva paura di rimanere da solo con se stesso e con i suoi pensieri.

Tempi sospesi] Larry Stylinson.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora