Capitolo Diciannovesimo

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Reparto speciale. Due parole che nel contesto in cui vennero dette da quell'uomo ci fecero rabbrividire entrambe. Io ed Agata ci guardammo per un attimo e bastò quel semplice sguardo per decidere di comune accordo che la cosa migliore era lasciare la villa il prima possibile.

Tornammo a casa levando immediatamente il disturbo e andammo in cucina, stanza che ormai aveva il tavolo sempre pieno di prove sulle due indagini che dopo questa giornata potemmo considerare collegate.

Mi sentii terribilmente insoddisfatta, frustrata e delusa. L'unica persona che avrebbe potuto darmi delle risposte, era rinchiusa in un inferno che probabilmente aveva qualcosa a che fare con gli incubi che la notte mi tormentavano.

Esausta, dopo una notte insonne ed una giornata così piena di emozioni, mi abbandonai sul letto senza nemmeno togliere le scarpe e mi lasciai cullare dalla musica di sottofondo del vinile che avevo scelto poco prima. Chiusi gli occhi addormentandomi quasi subito, ma quando un rumore sordo, regolare e ripetuto si insinuò nelle mie orecchie aprii gli occhi infastidita.

Dopo questo rumore, delle grida che imploravano aiuto mi fecero venire un terribile mal di testa. Mi alzai dallo scomodissimo letto e mi resi conto di essere rinchiusa nella camera bianca che tanto mi angosciava. Per assicurarmi di essere in un sogno, mi guardai le mani e contai le mie dita. Come da sospetti, ebbi la conferma di essere all'interno di un sogno quando mi contai più dita del dovuto. Sbuffai sonoramente, iniziando a camminare a piedi nudi per la stanza. Corsi verso il materasso e ci salii sopra, arrampicandomi per arrivare a guardare fuori dalla finestra. Fuori riconobbi un giardino di siepi ed alberi alti e rigogliosi. Cercai di allargare le sbarre di metallo della finestrella ma non ci riuscii, usai tutta la forza che avevo in corpo fino a che la ruggine delle sbarre non mi entrò nella pelle dei palmi facendomi fare una smorfia di dolore... non potei trattenere un lamento. Disperata ed in trappola, una quantità infinita di lacrime iniziò a solcarmi le guance.

Singhiozzai continuando a piangere e mi sedetti sul letto, urlando per la disperazione. Sapevo che non era reale, ma non avevo idea di come farlo finire. Guardai la vestaglia bianca di lino che copriva il mio corpo e mi sentii debole, come avvelenata da un colore che era l'opposto di quello che tanto amavo. Qualcuno aprì la porta, un uomo vestito di bianco, probabilmente un inserviente, entrò nella stanza con un vassoio di legno in mano.

Il terrore di dover prendere altre medicine contro la mia volontà mi pervase, facendomi stare sulla difensiva: portai le ginocchia al petto e le circondai con le braccia, restando immobile ma senza perdere di vista l'uomo. Questo poggiò il vassoio di legno sulla scrivania e contrariamente ad ogni mia ipotesi e aspettativa, se ne andò richiudendo la porta in un tonfo sordo. Qualche secondo dopo presi coraggio e mi avvicinai alla scrivania color panna dove l'uomo dal volto sconosciuto aveva lasciato il vassoio. Nel vassoio, un bicchiere in plastica con del latte caldo e due fette biscottate su un piccolo piattino di carta.

Mi sentii improvvisamente affamata e mi sedetti alla scrivania, consumando quella che aveva tutta l'aria di una colazione. Una volta finito, spostai il vassoio sulla sinistra della scrivania liberandone il centro e presi un foglio bianco. Osservai i pastelli a cera e ne presi uno nero, iniziando a disegnare qualcosa. Nella mia mente ci fu un turbine di pensieri così incontrollabile che non mi stupii quando finii di disegnare e vidi solo un mucchio di linee caotiche ed insensate.

Ad un tratto mi chiamarono, sentii il mio nome detto da una voce così familiare che mi girai speranzosa di vedere qualcuno di conosciuto. Niente, la porta era chiusa e la maniglia non c'era e non ci sarebbe mai stata. Sentii una voce chiamarmi ma non capii da dove provenisse... forzandomi di capirlo mi resi conto che la voce era come nell'aria, non proveniva da un punto preciso attorno a me. Urlai chiamando aiuto, risposi a quella voce che mi chiamava e mi disperai battendo i pugni sulla porta di metallo.

Gli incubi di Endora.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora