Capitolo Terzo

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Alla fine dell'ultima lezione uscii dall'aula trascinandomi esausta fino all'ingresso. I nuvoloni grigi di questa mattina erano spariti nel corso della mattinata e quando misi il muso fuori dalla grande facoltà il sole mi accecò a tal punto che fui costretta a mettere il braccio davanti al viso per proteggere gli occhi. Il sole mi fece sentire ancora più stanca di quanto non mi sentissi prima e così camminai a passo svelto verso il mio appartamento, non vedendo l'ora di raggiungerlo. Il tragitto non fu lungo, ma mi sentii incerta nel percorrerlo, il terrore di sbagliare strada e perdermi mi attanagliò lo stomaco per tutto il tempo e non avendo nessun punto di riferimento in città, non avrei saputo come gestire il mio pessimo orientamento.

<<Com'è andata in facoltà?>> mi chiese la mia coinquilina inaspettatamente.

Era dal lato opposto rispetto a me a tavola, mentre mangiavamo. Fino a quel momento aveva regnato il silenzio.

Mi stupì parecchio sentirla rivolgermi la parola ma, per qualche motivo, mi fece piacere e così decisi di rispondere in modo cortese.

<<È andata bene. Le lezioni sono state impegnative ma interessanti. Ho già degli appunti da riordinare>> le spiegai fermando la mia parlantina.

Temetti di averla annoiata quando mi osservò con un cipiglio strano sul volto.

<<Ti consiglio di riordinarli già da stasera, altrimenti resterai indietro>> mi consigliò lei cercando di sorridere.

<<Ci stavo giusto pensando, tanto non ho nulla da fare questo pomeriggio. Tu cosa farai?>> risposi sentendomi di chiederle qualcosa giusto per mandare avanti la conversazione.

In fondo ero abbastanza incuriosita da Agata. Non era come me ma forse il suo cervello non era omologato agli altri.

<<Andrò a fare compere>> mi disse soltanto, troncando bruscamente una conversazione che anche se breve iniziava ad essere piacevole.

Annuii non sapendo cos'altro dire e finimmo di mangiare quasi contemporaneamente. In silenzio poi lei sparecchiò ed io lavai i piatti.

Tornai in camera mia ma senza avere davvero la voglia di mettere in ordine i miei appunti. Lanciai lo zaino in un angolo della stanza per poi lanciarmi io sul letto. Mi sentii esausta, nonostante fisicamente la mattinata non fosse stata particolarmente faticosa, tutte quelle novità mi pesarono addosso e mi sembrò quasi di sentire addosso lo stress legato a questo nuovo inizio come se fosse un'entità fisica.

A pancia in giù con la faccia sul cuscino, ricapitolai la giornata.

Pensai che uscire presto quella mattina fosse stata una buona idea, ma presto la mia mente spostò la sua attenzione su un altro particolare della mattinata: Il misterioso ragazzo visto all'ingresso.

Prima o poi lo rivedrò in facoltà... pensai ancora, dopo essermi chiesta quando l'avrei rivisto.

Mi sollevai sul letto pensando che poltrire tutto il pomeriggio non mi avrebbe portato a niente, ma la stanchezza vinse e crollai di nuovo sul letto addormentandomi quasi subito sognando un paio di occhi profondi e misteriosi.

Quando riaprii gli occhi vidi per prima cosa un paio di occhietti azzurri luccicanti che mi osservavano da molto vicino. Istintivamente sbarrai gli occhi e mi trattenni dall'urlare, riconoscendo solo dopo aver preso abbastanza lucidità la mia coinquilina.

<<Agata, ma sei matta?!>> le chiesi retoricamente, con un tono di voce abbastanza alto che mi fece poi strizzare gli occhi per il mal di testa. Odiavo essere svegliata, l'unico essere vivente che aveva il permesso di svegliarmi era Edgar, ma quando gli lanciai un'occhiata lo vidi facendosi i fatti suoi nella gabbia e tornai a rivolgere la mia attenzione verso l'unico elemento di disturbo presente nella stanza.

<<Ho bisogno di parlare con qualcuno e sentirmi ascoltata. Ti prego, hai del tempo da dedicarmi?>> mi implorò, con gli occhi lucidi.

Un improvviso moto di compassione si impossessò di me e decisi di sedermi con la schiena appoggiata sulla testiera del letto. Sbadigliai sbattendo le palpebre più velocemente del normale per cercare di vederci meglio, la mia vista era ancora tutta appannata e a stento riconobbi la mia coinquilina. Lei era una delle novità della mia vita e per quanto io amassi le novità, di certo sarebbe stato difficile amare lei. Aveva quella luce negli occhi, quella di chi non aveva davvero visto il mondo, gli occhi di chi era appena uscito da una campana di vetro e iniziava a guardarsi intorno. Aveva l'aria di una persona ingenua, solare, positiva e molto poco razionale.

<<Cosa c'è?>> le chiesi, assonnata e senza alcun interesse reale in ciò che voleva dirmi.

<<Beh vedi.. questo ragazzo che ho conosciuto tempo fa...>> iniziò a parlare, mentre io mi feci distrarre dalla maniera in cui si era vestita.

I suoi abiti erano qualcosa di accecante in mezzo ai "non colori" della mia stanza. Non sopportai nemmeno un secondo quella t-shirt celeste con le margherite, per non parlare dei jeans così candidamente bianchi.

Che poi... pensai, I pantaloni bianchi non sono potenzialmente pericolosi? Si sporcano subito, anche quando non li usi. Se disgraziatamente te ne vai su una panchina poi resti tutta la sera in giro col sedere color "schifo di città"

<<Hey?>> disse Agata provando ad attirare la mia attenzione, probabilmente vedendomi distratta.

"Schifo di città" è un colore ovviamente, pensai tra me e me, orgogliosa di averne inventato uno nuovo.

<<Ma mi stai ascoltando?>> mi chiese Agata, interrompendo il flusso dei miei pensieri.

Beh sì ovvio, pensai ironicamente.

<<Certo, ma poi cosa è successo?>> le chiesi, giusto per farla parlare un altro po' e sembrare interessata.

<<Poi niente, ancora non si è svegliato>> rispose scrollando le spalle. Davanti alle sue parole mi sentii disorientata, forse non era stata poi una così buona idea non ascoltarla.

<<Ma chi?>> chiesi confusa, aggrottando la fronte.

<<Il ragazzo della tua facoltà, ma mi stavi a sentire prima?>> mi disse e io annuii cercando di sembrare credibile. Sembrò funzionare.

<<Comunque spero tanto che si riprenda, era l'alunno migliore di tutta la facoltà di lettere a quanto dicono in giro>> raccontò, mentre io pensavo a come concludere in fretta la conversazione.

<<Speriamo>> risposi soltanto, ma non funzionò per far terminare la conversazione. Credetti di aver perso il mio potere di far capire alle persone quanto mi sentissi asociale e misantropa. Non ero la persona giusta a cui rivolgersi per essere consolati, rassicurati, desiderati. Ero sempre stata un disastro e a stento ero riuscita qualche volta a consolare mia madre, non sarei mai riuscita a consolare o rassicurare una persona che conoscevo a stento da due giorni.

Continuò a parlare mentre io fissavo il soffitto annuendo ogni tanto in attesa della fine del suo monologo. I miei pensieri in quel momento come in molti altri durante la giornata erano rivolti ad un'unica persona. Il ragazzo della facoltà.

La prossima volta che lo vedrò, gli chiederò il suo nome, pensai fiduciosa, sorridendo tra me e me mentre Agata continuava a blaterare cose che non stavo minimamente ascoltando.

Gli incubi di Endora.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora