Capitolo sedicesimo

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Ci sono stati pochi momenti nella mia vita in cui ho perso il controllo della situazione. Questi si potevano contare sulle dita di una mano: lo sconforto provato alla morte di mio padre, la morte del mio gatto Salem, il mio amore nei confronti di un ragazzo che non mi calcolò mai. In quel momento però, davanti ad Agata, sentii di dover aggiungere questo nella lista. Ero accanto ad Uran, ma per un attimo fu come se davanti a me ci fosse solo lei con il suo sguardo accusatorio.

La cartella fece un rumore sordo quando si schiantò sul tavolo. Agata si sedette di fronte a me ed Uran nel più assoluto dei silenzi. L'aria iniziò a farsi pesante, la tensione che c'era si sarebbe potuta tagliare con un coltello.

Aprì la cartella in modo così lento che fu frustrante per me non aprire bocca per chiedere spiegazioni. Iniziò, come si farebbe durante l'interrogatorio di due sospettati di omicidio, a poggiare foto sul tavolo mettendole una accanto all'altra tirandole fuori direttamente dalla cartella.

Allungai il collo per osservare le foto nel tentativo di capire, ma non trovai nessun nesso fra queste e il motivo per cui ci trovavamo qui. Mi dovetti mordere la lingua per non riempirla di domande, cercai di aspettare che fosse lei a spiegare.

Notai delle foto di una ragazza che però non riconobbi nonostante mi sembrò fortemente familiare. Poi le foto di una persona su un letto d'ospedale con il viso totalmente fasciato da delle bende bianche ed un tubo in gola. Non capii, mi sentii confusa ma anche nervosa.

Uran ebbe una reazione diversa da qualunque mi aspettassi alla vista delle fotografie sul tavolo. Poggiò il dito sulla foto del ragazzo in ospedale e quasi aggredì Agata. I suoi occhi erano iniettati di sangue, mai mi sembrò tanto sexy come in quel momento.

<<Che cosa significa questa?>> sibilò minaccioso, alzandosi in piedi per sporgersi con il busto verso la mia coinquilina.

Quest'ultima, per nulla intimorita, battè le palpebre un paio di volte e i suoi soliti occhioni celesti divennero improvvisamente più freddi e profondi, come due lastre di ghiaccio in procinto di rompersi.

<<Questa, caro mio, è una tua foto. Quello lì, sei tu.>> rispose in tono sicuro Agata alzandosi in piedi come Uran. Aggrottai la fronte, visibilmente confusa.

<<Cosa? Ma che stai dicendo, è solo->> iniziò a dire Uran, ma venne interrotto bruscamente prima che finisse di parlare.

<<Sta zitto, non ho finito. Quello nella foto sei tu e la ragazza è Endora>> disse lei arrabbiata senza dare il tempo ad Uran di aprire bocca.

<<Ma questa non sono io!>> risposi immediatamente, tentando di difendermi da questa accusa insensata. Le parole che le uscirono di bocca non ebbero alcun senso, cercai di capire cosa stesse succedendo ma nessuna ipotesi nella mia testa potè giustificare un simile comportamento.

<<Ah sì? E come lo spieghi il fatto che abbia il tuo stesso nome, la tua stessa data di nascita, i tuoi stessi segni particolari? Lo stesso colore degli occhi, dei capelli?>> mi accusò lei.

<<Coincidenze>> si mise in mezzo Uran, forse per difendermi.

<<È una coincidenza anche il fatto che quasi tutte le cifre del codice fiscale di quella ragazza siano identiche a quelle di Batibat? Cambia solamente l'ultima lettera>> rispose lei, sbattendo sul tavolo un foglio che afferrai e lessi immediatamente. I dati sensibili di quella ragazza, erano quasi identici ai miei, ad eccezione di quell'unica lettera.

<<I codici fiscali sono unici, siamo due persone diverse, anche perché io sono qui e lei è...>> iniziai a parlare e mi morirono le parole in bocca quando lessi il domicilio della ragazza sul foglio.

Gli incubi di Endora.Kde žijí příběhy. Začni objevovat