49. Verde speranza

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Mi scosto e mi alzo per evitare di compiere ulteriori gesti sconsiderati. Scavalco le sue gambe e vado verso la porta per allontanarmi il più possibile da lui.

Il suo volto si irrigidisce e un'emozione che non riesco a definire oltrepassa fulminea i suoi occhi. Si mette in piedi e raddrizza le spalle, per poi portare le mani dentro le tasche della tuta. Mi supera ed esce dal bagno, stando attento a non sfiorarmi neanche per sbaglio. «Se sei pronta, è meglio andare. Ci penserà la domestica a rimettere in ordine la cucina.»

Usa un tono distaccato, lasciandomi stordita per il suo repentino cambio d'umore. D'altronde ha ragione; sono io che lo sto confondendo con i miei comportamenti ambigui. Lo osservo mentre indossa una felpa nera, prima poggiata sulla spalliera del divano, per poi afferrare un mazzo di chiavi posto sul tavolino in vetro.

«Hai paura delle moto?»

«No...» sibilo tentennante, seguendolo verso la porta di ingresso.

Scendiamo le scale e vedo la sua moto rossa parcheggiata nel cortile centrale del palazzo. Prima che lui possa chiedermelo, mi volto in direzione del grande portone in ferro e lo raggiungo per aprirlo. Enea oltrepassa l'uscio e chiudo le ante in modo repentino: voglio tornare a casa. Lo raggiungo mentre chiude una telefonata, impedendomi di ascoltare la conversazione.

«Tieni, metti il mio casco» mi ordina porgendomelo.

Non faccio storie e lo indosso prima di posizionarmi dietro di lui. Cerco di tenere i nostri corpi distaccati e con le mani afferro le sporgenze della moto per sostenermi. Anche se non dovrei, vorrei sapere cosa gli stia passando per la testa. Forse mi sono lasciata trasportare troppo dalle emozioni e l'ho infastidito; in fondo per lui sono solo un'estranea che è scoppiata a piangere tra le sue braccia.

«È un problema se deviamo un po' il tragitto?»

«No... nessun problema.»

Annuisce mentre fa ruggire il motore e solleva il cavalletto. Con un ultimo strappo secco, si immerge nella confusione del lunedì mattina. La sua guida è rimasta la stessa: un pericolo ambulante che si diverte a fare slalom tra le automobili. Chiudo gli occhi e tento di immaginarmi ovunque fuorché qui.

«Carla.»

«Sì?»

«Apri gli occhi.»

Socchiudo lentamente le palpebre e mi accorgo che siamo fermi a un semaforo rosso.

«Potevi dirmi che hai paura.» Usa il suo solito tono beffardo, accompagnato dal ghigno che tanto conosco e che riesco a gestire.

«Non ho paura. È la tua guida che fa davvero pena.»

Inarca il sopracciglio destro. «Io guido benissimo.» Si sporge e osserva qualcosa alle mie spalle. «Il problema è che stai tenendo il baricentro indietro per aggrapparti alla moto.» Senza attendere una mia risposta, allunga il braccio per afferrarmi la coscia e mi fa scivolare per aderire bene alla sua schiena. «Tieniti a me. Cosa c'è? Sei diventata improvvisamente timida? Fino a due minuti fa ti avvinghiavi al mio corpo come se fosse l'unica ancora che hai su questa terra. A proposito, il ragazzo di cui sei innamorata si potrebbe ingelosire.»

Innamorata?

Il semaforo diventa verde e lui scatta in avanti, senza che io abbia la possibilità di ribattere. Dice qualcosa sottovoce, ma non riesco a sentirlo per via del rumore della marmitta. Dopo circa venti minuti, accostiamo davanti a un negozio con una delle due vetrine totalmente spoglia e l'altra che permette solo una vista sbiadita dell'interno. Scendo dalla moto e mi tolgo il casco, continuando a scrutare il negozio perplessa. Ha tutta l'aria di essere un posto losco e, conoscendolo, non mi stupirei se sia davvero così.

Divisa a metàWhere stories live. Discover now