42. Seconda scelta

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Sollevo le palpebre pesanti e i miei occhi focalizzano il soffitto bianco della mia stanza, illuminato dalla luce arancione del tramonto. Stordita, mi chiedo perché sono a letto in pieno pomeriggio, ma pian piano la cruda realtà di quello che è successo mi si insinua dentro.

Il respiro mi viene meno, tuttavia qualcosa di umido e appiccicoso mi lambisce il braccio e mi distrae. Mi volto per vedere mio fratello con le labbra spalancate e la saliva che gli scende dall'angolo della bocca.

Noto la sua mano stretta nella mia e ripenso alla promessa che mi ha fatto prima che mi addormentassi.

Sempre.

«Matti, svegliati» lo chiamo, scuotendolo per la spalla.

In risposta ricevo un borbottio senza senso.

«Mi stai sbavando addosso come il cane dei vicini, svegliati!»

Segue solo un piccolo lamento.

«Mattia, mamma ha preparato le cotolette fritte!»

Mio fratello spalanca gli occhi e alza il capo, con il ciuffo che gli ricade sopra l'occhio destro.

«Sei incredibile. Solo il cibo può fare alzare le tue chiappe dal mio letto» dico, tentando di liberarmi dalla sua stretta.

I suoi occhi appannati puntano su di me e lentamente vedo le rotelle del suo cervello rimettersi in moto. «Belle chiappe» precisa con un sorrisetto sulle labbra.

«Certo, come no.» Lo allontano via dal mio corpo per riappropriarmi del mio spazio vitale, tuttavia lui fa resistenza. «Non fare lo stupido. Lasciami» gli ordino, spintonandolo anche con i piedi.

«Ti ho promesso di rimanere con te ed è quello che sto facendo.»

«Si dia il caso che adesso voglio che tu vada via» dichiaro con voce seria.

«Non ti lascio da sola a crogiolarti nel tuo dolore. Dovrai sopportarmi anche se sei ancora arrabbiata con me.»

«Arrabbiata? Io sono furiosa.» Scrollo il braccio, ma l'unico effetto che ottengo è una presa maggiore sul mio polso.

Le sue iridi grigie si puntano su di me e capisco di non avere scampo. «Dobbiamo parlare. Voglio almeno provarti a spiegare.»

«Io e te non abbiamo niente da dirci. Hai avuto tutto il tempo per parlarmi e adesso l'ultima cosa che voglia fare è ascoltare le tue patetiche scuse.» Gli do uno strattone secco e lui mi libera dalle sue grinfie. Rotolo dal letto e mi alzo in piedi. «Se non ti dispiace, voglio rimanere da sola» dico, aprendogli la porta della stanza.

«Stamattina ti ho chiesto scusa e lo faccio anche adesso. Sono stato stupido e non volevo ferirti con le mie parole insensibili. Tu mi sei stata accanto sempre, ma non ti avrei mai trascinata consapevolmente nei miei casini» mi spiega mentre chiude la porta con decisione per farmi capire che non sarebbe andato via da qui senza un chiarimento.

«Perché lo hai fatto? Come hai potuto essere così stupido da non capire che non era la soluzione giusta ai tuoi problemi?» Non è proprio la giornata giusta per affrontare questo argomento. Rischio di sfogare su di lui le mie frustrazioni.

Incassa le mie parole dure, mentre le spalle gli si protendono in avanti per lo sconforto. «Io... ho fatto una cazzata» ammette, abbassando lo sguardo. «Non riesco a capacitarmi di averlo fatto sul serio. Una parte di me era consapevole che stavo commettendo un errore, ma l'altra mi sussurrava che era l'unica scelta che avevo.»

Osservo la sua espressione affranta e cerco di calmarmi; capire di aver fatto uno sbaglio è il primo passo verso la direzione giusta. Prendo un bel respiro e tento di tirare fuori un discorso che possa aiutare la sua autostima, ci bastano gli altri a farci sentire delle nullità. «Matti, sei uno dei ragazzi più intelligenti che io conosca. Troverai anche tu il tuo posto, utilizzando unicamente le tue forze.»

Divisa a metàWhere stories live. Discover now