43. Come prima

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«Molto bene, credo non ci sia altro da aggiungere. Il discorso è ottimo e rientra perfettamente nei minuti che ha a disposizione» afferma il mio relatore, firmando alcune scartoffie.

Mi alzo dalla sedia, emettendo un sospiro di sollievo. «La ringrazio. Dunque, ci vediamo dopodomani alla seduta di laurea.»

Allungo la mano e lui la stringe con una presa vigorosa, mentre mi mostra un sorriso cordiale. Sto per uscire dalla soglia quando richiama di nuovo la mia attenzione.

«Ah, Signorina Amato, vedrò di riparlare con il mio collega» sentenzia, utilizzando un tono autoritario che non gli ho mai sentito.

Sollevo gli angoli della bocca come semplice movimento di circostanza e chiudo la porta. Dubito convinca il professore di Scienza ad approvare la mia Lode. Non ci è riuscito prima e non comprendo come possa farlo adesso.

Quando mi inoltro lungo il corridoio della zona professori, il mio cellulare inizia a squillare con una suoneria che ormai mi accompagna da giorni e non ho bisogno di vedere il mittente. Blocco il telefono e ripongo il dispositivo nel giubbotto, racchiudendo il mio malessere in un angolo dell'inconscio. Prima o poi diventerà così pesante che far finta di niente sarà impossibile, ma per il momento mi sembra l'unica soluzione per andare avanti.

Scendo le scale lentamente e una sensazione di malinconia mi investe mentre osservo la struttura che mi circonda. Non sono stati cinque anni facili, per niente, ma forse preferivo stare qui che affrontare l'ansia dell'ignoto che è come un macigno sopra la mia testa.

Se non dovessi riuscire a fare ciò che voglio? O peggio... se quello che credo di volere in realtà non mi soddisfacesse?

Scuoto il capo e mi obbligo a non pensarci. Ho già abbastanza paranoie che mi vorticano nella testa per riflettere su argomenti di questo tipo. Tra meno di due mesi partirò per il mio tirocinio e lì capirò meglio cosa fare del mio futuro.

La prospettiva del mio impellente viaggio mi scombussola, ma devo confessare che un po' mi conforta. Mi permetterà di mettere un po' di distanza tra me, questa città... e coloro che la abitano.

Senza prestare attenzione ai miei passi, mi ritrovo nel corridoio del piano terra dove ho aspettato con terrore il mio turno per fronteggiare la docente di Restauro.

Il mio inconscio rievoca le immagini del mio primo incontro con Enea. Sembra trascorso un secolo, ma ricordo nitidamente lo sguardo di fuoco che mi rivolse quel giorno, e, ora che ci rifletto, non ho mai capito il perché di quella ostilità. Dopotutto era venuto qui per provarci con me, che senso avevano avuto quegli occhi carichi di collera, come se avessi fatto qualcosa di male?

Distolgo lo sguardo dai tavoli ed espello ogni domanda dalla mia mente, mentre do le spalle al corridoio e mi dirigo verso l'uscita. Mi bastano già le notti insonni. Ogniqualvolta chiudo le palpebre la voce di Enea che mi ripete "Chi sei" non mi lascia neanche un secondo.

Supero il vialetto costeggiato di piante e una voce nitida che pronuncia il mio nome mi fa bloccare di colpo, facendomi venire i brividi lungo la spina dorsale e mozzare il respiro.

Volto il capo lentamente verso di lui e la prima cosa che noto sono le occhiaie violacee che fino a questo momento non avevo mai visto incidere il suo viso. I suoi capelli ricci sono scompigliati più del solito, come se le sue mani non gli avessero dato pace. I suoi occhi tristi mi riducono il cuore in piccoli pezzi, ma quello che lo annienta definitivamente è il leggero sorriso che aleggia sulle sue labbra.

Nonostante la cattiva persona che sono, nonostante io lo abbia evitato in tutti i modi, nonostante lui stia passando le pene dell'inferno, riesce comunque a mostrarmi la sua sconfinata dolcezza.

Divisa a metàWhere stories live. Discover now