27. Fragilità

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Seguo Enea tra le sterpaglie del terreno e ci ritroviamo in una stradina sterrata dove è parcheggiata la sua moto. Ecco come mi ha raggiunta tanto velocemente.

Mi porge il casco senza guardarmi negli occhi.

«Che ne dici di mettere qualcosa nello stomaco prima di rientrare?» domando per stemperare la situazione. L'atmosfera inquieta che aleggia tra noi sta diventando soffocante.

«No. Ho un impegno importante e sono già in ritardo.» Dà gas al motore, impedendomi di controbattere.

Salgo sulla moto un po' stizzita, ma mantengo un'espressione rilassata, come se il suo atteggiamento distaccato e freddo non mi sfiorasse minimamente. Mi posiziono nello spigolo più estremo del sellino così da non far sfiorare i nostri corpi di un millimetro.

Il suo carattere altalenante mi sta mandando in confusione... e mi sta facendo incazzare.

Altro che leggere i segnali. Se dovessi farlo, dovrei chiamare una clinica psichiatrica.

Il viaggio lo trascorriamo senza scambiarci una parola. Riesco a percepire la tensione che emanano i nostri corpi; un duello che nessuno dei due vuole perdere.

Nonostante abbia detto di avere premura, mantiene un'andatura più moderata rispetto al viaggio d'andata. Forse è un modo tutto suo per chiedermi una specie di tregua, ma purtroppo per lui preferisco i fatti espliciti.

Quando accosta a pochi metri dalla mia abitazione, salto giù e agilmente mi tolgo il casco per consegnarglielo. «Ci si vede» affermo con tono monocorde prima di avviarmi verso casa.

«Carla.»

Riluttante, mi volto nella sua direzione. «Enea.»

Lui mi osserva con intensità per alcuni secondi per poi sospirare profondamente. «Non volevo essere scortese» ammette con sincerità, anche se sembra che confessarlo gli costi un certo sforzo.

«Lo sei stato invece» ribatto mentre incrocio le braccia al petto.

«Ho davvero un impegno stasera.»

«E allora perché sei qui a perdere tempo con me?»

Mi fissa come se la mia domanda non avesse alcun senso. «Ho le prove con la band.»

«Non ti devi giustificare. Puoi andare dove vuoi e con chi vuoi.»

«Quindi non ti stai arrabbiando perché sto preferendo rispettare il mio impegno invece che stare con te, giusto?»

«Sei tu che sei piombato a casa mia senza che nessuno te lo abbia chiesto. E poi cosa fai? Ti inventi una scusa banale per scaricarmi.»

Mi sto comportando come una bambina di cinque anni e pur sapendolo non riesco a mordermi la lingua. D'altronde sono stanca che lui compaia e scompaia dalla mia vita a suo piacimento, come se fossi un giocattolino che può utilizzare quando vuole.

I suoi occhi si assottigliano e inarca il sopracciglio sinistro. «Sei seria?»

Sollevo le braccia esasperata. «Fai finta che non ti abbia detto niente. Ti ringrazio per la serata e ti auguro delle buone prove con la tua band» dichiaro, marcando volutamente l'ultima parola.

A chi vuole prendere in giro? Sono le undici di sera.

«Non mi credi? Guarda che davvero mi devo vedere con i ragazzi e non li metterò in secondo piano neanche per te.»

«E chi ti ha chiesto di farlo?» La mia voce si alza di un'ottava mentre stringo i pugni.

Questa conversazione sta degenerando.

Divisa a metàWhere stories live. Discover now