22. Giusto o sbagliato?

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Quando Enea dà gas, scivolo lungo la sella e il mio petto entra in contatto con la sua schiena. Vorrei allontanarmi, ma rimango paralizzata.

Non credo che sappia cosa significhi precisamente sicurezza stradale.

Sorpassiamo le vetture con una velocità superiore rispetto ai limiti cittadini e mi ritrovo a chiudere gli occhi quando ci inoltriamo tra una macchina e un furgoncino bianco. Stringo le dita attorno alle maniglie della moto con così tanta forza che le dita mi fanno male.

Per fortuna il tragitto è breve e tiro un sospiro di sollievo quando sento il motore decelerare. Apro un occhio e scendo subito dalla moto per riportare i piedi su un terreno stabile.

Mi volto verso di lui mentre mi levo il casco. «Per la prossima volta, ci tengo alla mia pelle, io.»

«Ah, quindi hai deciso che ci sarà una prossima volta?» mi chiede con un sorriso scaltro mentre inserisce l'allarme.

«Era così per dire, cosa credi.» Volto il capo per non fargli vedere la mia faccia imbarazzata. Non ne azzecco una.

Lo sento sogghignare, però non commento. A volte è meglio tacere.

Mi guardo attorno, ma non capisco perché si sia fermato qui. Ci sono numerosi ristoranti, tuttavia non credo sia uno di questi la nostra meta visto che abbiamo già cenato.

«Seguimi.» Cammina in direzione opposta rispetto ai ristori e si ferma davanti a una struttura che ha qualcosa di familiare. Sulla facciata leggo: Metropolitan.

Come ho fatto a non riconoscere subito il teatro? È lì che ho eseguito tutti i saggi della mia infanzia.

«Sei pronta?»

Aggrotto le sopracciglia. «A fare cosa?»

Sorride. Uno di quei sorrisi sinceri che rivolge agli altri, ma mai alla sottoscritta, e rimango imbambolata a fissarlo.

Allunga una mano e mi sfiora il mento, mentre le mie palpebre si dilatano leggermente. Compie una leggera pressione con l'indice e chiude la mia bocca semiaperta. «Potrebbe entrarci un moscerino.»

Spingo via la sua mano mentre lo fulmino con lo sguardo e lui ridacchia, perfettamente conscio dell'effetto che ha su di me. Afferra la mia mano e mi trascina nel vicolo laterale privo di illuminazione.

I miei occhi impiegano un po' ad abituarsi alla penombra e a mettere a fuoco la porta di ferro davanti cui ci fermiamo. Ricordo vagamente che conduce verso le quinte del palcoscenico. Estrae dalla giacca un aggeggio strano di metallo e lo inserisce nella serratura.

«Ma cosa fai? Ci vuoi fare arrestare?» Indietreggio e controllo che non ci sia nessuno nei paraggi.

«Non essere codarda» sbotta, continuando a scassinare.

«Codarda? Questa è effrazione!» sibilo a denti stretti.

«Stai tranquilla, non ci scoprirà nessuno. Il proprietario è un signore anziano che di sicuro dorme da ore.»

Sento un rumore secco e la porta si apre. Lui mi lancia uno sguardo fugace prima di entrare e sparire nel buio.

«Enea, torna qui!» dico, sperando che mi ascolti, ma non odo nessuna risposta.

Mi guardo intorno e sono così terrorizzata di restare da sola che lo seguo. Il corridoio è tanto buio che mi arresto di colpo. «Maledizione, Enea, dove sei?»

La torcia di un cellulare si accende a pochi passi da me. «Da questa parte.» Sale le scale che conducono dietro le quinte.

Sono sempre stata una persona rispettosa delle regole e, odio ammetterlo, ma ho una fifa blu di finire nei guai. Mi guardo attorno per accettarmi che non ci sia nessuno mentre lo seguo. «Dobbiamo tornare indietro.»

Divisa a metàWhere stories live. Discover now