53. Libertà

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«Carla, ti prego, rispondimi.»

Una voce conosciuta si insinua nella mia mente, ma sono troppo stanca per aprire gli occhi.

«Che cosa le hai fatto? Da quanto tempo è in questo stato?» domanda con un tono duro e aggressivo.

«Io... non le ho fatto niente. Te lo giuro» risponde una seconda persona.

Scende un silenzio confortevole che mi rilassa.
Non voglio sentire niente.
Voglio rimanere così, al buio e senza nessun rumore.

Due braccia solide mi sollevano da terra e mi stringono con una presa salda. Il calore che emanano riesce a lambire la mia pelle poco sensibile. «La porto in ospedale.»

«Elia, ascoltami, non l'ho sfiorata. Credimi.»

«Ne ho abbastanza delle tue stronzate. Non mi trascinerai di nuovo nei tuoi casini e, soprattutto, non trascinerai lei.»

Sento una porta chiudersi con forza e mi sforzo ad aprire le palpebre. All'inizio la luce esterna è troppo intensa, ma pian piano riesco a mettere a fuoco il viso che mi ritrovo davanti. «Elia» sibilo per richiamare la sua attenzione.

Abbassa il capo e noto una lacrima silenziosa scivolargli sullo zigomo. Il cuore, che pensavo si fosse pietrificato di nuovo come dopo quel giorno, mi si stringe in una morsa. Soffre per il dolore che legge in quegli occhi sempre pieni di vita e positività.

«Ehi, principessa.» La sua voce tremante mi procura dei brividi sulle braccia, mentre lui aumenta la presa sul mio corpo, come se avesse paura che possa perdere i sensi ancora una volta. «Ora andiamo all'ospedale per un controllo.»

«No, non è necessario» ribatto con più convinzione, anche se ancora mi sento scombussolata e debole. «Ho solo bisogno di un posto tranquillo. Portami al mare.»

Lui mi guarda titubante, ma ciò che scruta nei miei occhi lo convince ad annuire.

Giungiamo alla sua auto e mi posiziona delicatamente sul sedile anteriore. «Riesci a sostenerti?»

Faccio un cenno col capo e lui aggancia la cintura di sicurezza per poi dirigersi verso il sedile del guidatore. Accende il motore e ci immergiamo nel traffico, mantenendo un'andatura lenta mentre mi rivolge delle occhiate preoccupate.

«Sto bene, davvero» affermo per tranquillizzarlo.

Lui non risponde, ma almeno adesso tiene lo sguardo verso il parabrezza, rimanendo stranamente silenzioso.

Quando giungiamo alla Playa, scende dall'auto e mi riprende in braccio senza esitare. Si avvia lungo la spiaggia, mentre io osservo al di là della sua spalla il tramonto intenso che ci accompagna. Il sole è un ammasso incandescente color rosso fuoco, quasi come un cuore vivo che continua a pompare per vivere, nonostante le nuvole minacciano di oscurarlo.

Elia si siede sulla battigia e mi trascina giù con sé. Mi aggrappo forte a lui, con le braccia attorno al suo collo e la testa appoggiata alla sua spalla. Respiro il suo profumo per imprimerlo bene nella mia mente. Mi sarebbe mancato, come tutto di lui del resto.

Dopo un po', mi scosto per osservarlo meglio e mi accorgo che ha lo sguardo dritto davanti a sé, mentre si morde con insistenza il labbro inferiore. Il suo silenzio mi allarma.

«Elia, stai bene?»

«Dovrei farti io questa domanda» mormora, senza guardarmi.

«Sto bene, sul serio.» Gli afferro il mento per farlo voltare nella mia direzione.

I suoi occhi lucidi mi perforano l'anima e le sue emozioni mi investono come un treno in corsa.

«Ehi, è tutto a posto» dico, mentre asciugo una lacrima che corre lungo la sua guancia.

Divisa a metàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora