Capitolo Dieci

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Il bar si trova esattamente alla destra della centrale di polizia e Camila, per tutto il tempo del tragitto, non ha fatto altro che parlare e, devo ammetterlo, qualche volta mi ha fatto scappare un sorriso. Era dalla morte di Allison che non sorridevo o non parlavo di argomenti così leggeri e futili con qualcuno.
Ci sediamo nel tavolo vicino alla vetrata e, dopo aver ordinato, Camila appoggia il mento sulla mano destra e mi guarda con pura curiosità.
-Cosa c'è?- le chiedo stranito.
Alza le spalle –Niente, solo che non ti ho mai visto in centrale, sei nuovo?-
Scuoto subito la testa –Io... non lavoro lì-.
-Oh, se posso chiedertelo, perché eri lì?- mi guarda con la curiosità e la voglia di conoscere dello stesso poliziotto che mi ha interrogato neanche cinque minuti fa. –Sei una detective?-
La sua pelle leggermente ambrata arrossisce e scuote la testa bevendo un sorso di caffè –Sono l'assistente del detective, ma un giorno, non troppo lontano, prenderò il suo posto- mi spiega con gli occhi che le brillano dalla determinazione. È una donna intrigante e ambiziosa, Allison le avrebbe già fatto un profilo psicologico completo...
Il mio sguardo si rabbuia e guardo per terra.
-Luke stai bene? Ho detto qualcosa di sbagliato?-
-Stai tranquilla, non è colpa tua, solo che mia moglie Allison si è suicidata tre giorni fa e sono dovuto andare in centrale per dare la testimonianza dei fatti, perché sono stato io a trovare il suo cadavere...- sussurro, mentre gli occhi mi si fanno lucidi.
-Oh mio Dio, mi dispiace tanto Luke. Com'è successo?-
-Non mi va di parlarne- la mia voce trema e sto cercando con tutto me stesso di non mettermi a piangere in un bar davanti ad una sconosciuta.
La sua mano abbronzata si poggia con delicatezza sulla mia e avvicina il suo viso al mio orecchio –Che ne dici se andiamo in un posto più tranquillo?-.
Incapace di contestare annuisco soltanto e Camila mi afferra la mano portandomi fuori dal bar. Con un movimento veloce della mano estrae dalla tasca della sua giacca un mazzo di chiavi con cui apre una macchina e mi sorride –Forza sali, sono l'assistente del detective, non ti farò del male-.
Annuisco solo e mi siedo al posto del passeggero, mentre lei incomincia a guidare e un sorriso compare sulle sue labbra. Sposto lo sguardo fuori dal finestrino e dopo neanche dieci minuti spegne la macchina.
-Siamo arrivati, vieni- e m'indica un parco che non dista molto da casa mia, così scendo dall'auto e la seguo. –Sai- incomincia – quando sono triste o ho troppi pensieri per la testa vengo a farmi una passeggiata qui. Non c'è mai quasi nessuno e mi rilassa molto-.
-è molto bello- ammetto guardandomi in giro.
Annuisce –E se hai fame, lì- indica un punto alla fine del parco –C'è pure un supermarket che vende i migliori gelati di tutta la zona!- sorride estasiata come una bambina e un piccolo sorriso scappa anche dalle mie labbra.
-allora dovremmo assolutamente comprarlo- lei sorride per la mia proposta e m'indica una panchina che si affaccia sulla strada alla fine del parco –Aspettami qui, lo vado a prendere io- non ho neanche il tempo di protestare che corre letteralmente via.
La strada davanti a me è poco trafficata, passa una o due macchine di tanto in tanto ed io stesso non ci sono mai venuto qua, ma non sono nato qui, era Allison quella che conosceva persino tutte le crepe dei marciapiedi, non io. Un sospiro sconsolato lascia le mie labbra e non posso fare a meno di pensare che, invece di Camilla, ci fosse lei.
Con i suoi occhi così espressivi.
Con il suo sorriso capace di incantare chiunque.
Con il suo carattere così... suo.
-Eccomi- la voce della donna mi fa sobbalzare e mi giro di scatto notando Camila con due contenitori di gelato –Scusa, non volevo spaventarti- mi sorride piano.
-tranquilla, ero soprapensiero-
Annuisce e mi porge una vaschetta di gelato e un cucchiaino di plastica –Spero che ti piaccia il cioccolato, altrimenti puoi pure andartene-, dice il tutto con voce seria scoppiando subito dopo a ridere di gusto. La sua risata è così contagiosa che anch'io, non so come, mi ritrovo a tenermi la pancia per le troppe risate.
-Tieni- mi porge la vaschetta. Le sorrido grato e m'infilo subito dopo un cucchiaio in bocca e un mugolio di approvazione esce dalle mie labbra –Amo il gelato al cioccolato-.
Camila annuisce con la bocca piena di gelato –A chi lo dici, fosse per me, vivrei di questo-.
Il gelato era quasi finito e Camila incomincia a giocherellare con il cucchiaino e capisco che sta per dirmi qualcosa, cerca semplicemente le parole adatte per farlo. Allison me lo ripeteva sempre, quando ogni volta mi beccava a giocherellare con le cose e, in effetti, aveva sempre ragione.
-Cosa mi devi dire?-
Si gira di scatto verso di me e i suoi occhi scuri mi guardano stupiti.
Alzo le spalle –Mia moglie è una psicologa- dopo pochi secondi mi rendo conto di quello che ho detto e mi correggo –o meglio, era una psicologa-.
La sua mano si appoggia sulla mia gamba per darmi conforto –Luke so che non ne hai molta voglia, ma ho letto da qualche parte che sfogarsi con uno sconosciuto non può far altro che bene, ed io sono disposta ad aiutarti. Davvero. - e quando mi guarda con quegli occhi così grandi che sembrano di un cerbiatto, cedo.
-L'unica donna di cui mi sia mai innamorato si è suicidata tre giorni fa. L'ho conosciuta cinque anni fa e non ho mai smesso di ringraziare Dio, il destino o chi si voglia per avermela fatta conoscere, all'epoca avevamo entrambi ventuno anni e quando l'ho vista, è stato un colpo di fulmine. Stava studiando per laurearsi in psicologia e adorava usarmi come cavia e psicanalizzarmi. Era così dannatamente attraente quando lo faceva. Dopo due anni le ho chiesto di diventare mia moglie, sai è stato dannatamente difficile cercare di non farle capire quello che avevo in mente, di solito capiva con una sola occhiata quello che mi passava per la testa ma quella sera no. E avresti dovuto vederla la sua espressione stupita! Era qualcosa di meraviglioso. Non ho mai fatto decisione migliore in ventisei anni di vita. Era ed è la donna della mia vita, mia moglie e la mia anima gemella e adesso... adesso non c'è più...- le lacrime scendono copiose dal mio viso, mentre Camila, con delicatezza, mi accarezza la gamba cercando di confortarmi. –Lei si è suicidata, ma non ha senso. Non ha dannatamente senso- mormoro.
-perché?- interrompe il mio sproloquio.
-Perché a casa ho trovato una lettera dove spiegava perché si è tolta la vita, ma non ha senso!-
-Se l'ha spiegato in una lettera lo deve avere Luke-
Scuoto la testa insistentemente –No. Lei ha scritto che aveva commesso un crimine involontario e aveva ucciso per sbaglio il suo ex ragazzo e che i sensi di colpa la stavano divorando dentro, così ha deciso di togliersi la vita-.
Camila mi guarda attentamente –In realtà ha senso, molte persone lo fanno- spiega.
-Non capisci. Allison non l'avrebbe mai fatto. È una psicologa, sapeva che portarsi dietro quel segreto l'avrebbe corrosa dentro, non era capace a mentire, in più la scrittura sulla lettera non era la sua-.
-In che senso non era la sua scrittura?- comincia a muoversi a disagio sulla panchina.
La guardo con sicurezza –Non era la sua scrittura, la riconoscerei tra mille e quella non era la sua-.
Camila smette di guardarmi in faccia e punta lo sguardo davanti a se, presa forse a pensare –Non credi si sia uccisa per quel motivo, vero?-.
-certo che no, e farò di tutto per scoprire la verità- dico con sicurezza.
Camila sorride piano, sembra quasi un ghigno –Vieni, ti porto in un posto-.

If I Can't Have You|| Shawn MendesDonde viven las historias. Descúbrelo ahora