1. Finalmente a Dublino - II Parte

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KRISTIN

Le strade di Dublino erano completamente diverse da quelle che ero abituata a vedere in America. Lì non c'erano grattacieli, ma edifici alti massimo due o tre piani, le porte erano colorate con toni sgargianti: rosso, verde, giallo... e poi in centro c'erano tantissimi pub e ragazzi con un boccale di birra tra le mani. Mentre percorrevamo il tragitto che ci divideva dal cuore della città al B&B, avevamo avuto modo di osservare da vicino il famoso castello: il nostro nuovo punto di riferimento per orientarci in quel luogo sconosciuto.

Eravamo stanchissimi quando finalmente la piccola insegna dell'alloggio si mostrò ai nostri occhi. Con i bagagli tra le mani e la luna che illuminava i nostri visi arrossati per il freddo, bussammo sul particolare campanellino posizionato sotto la scritta del posto. Una signora sulla cinquantina d'anni e i corti capelli rossi e arruffati ci accolse all'interno del suo appartamento. Un odore forte di lavanda proveniente da un diffusore per ambienti investì le mie narici, facendomi tossire per qualche istante. L'interno era molto caldo e confortevole, all'entrata c'erano delle poltroncine in velluto viola, a richiamare il colore delle pareti lilla. Più avanti c'era una scrivania da lavoro, dove la signora si accomodò invitandoci a consegnare i nostri documenti. L'enorme orologio appeso segnava le 20:44, non era tardi, ma a causa delle molte ore di volo mi sentivo parecchio assonnata.

«Resterete qui una settimana, giusto?» domandò allegra e noi annuimmo. «Siete venuti in vacanza in Europa?»

«Vorremmo mettere radici qui, in realtà, per qualche anno almeno, poi in futuro chissà...» risposi per entrambi.

«Fate bene, siete giovani ed è giusto inseguire nuove opportunità. Anche mio nipote si è trasferito di recente all'estero alla Silicon Valley, non potete immaginare quanto mi renda orgoglioso quel ragazzo...» pronunciò quelle parole commossa, doveva volergli molto bene. «Comunque torniamo a noi, mi chiamo Briana e, per qualsiasi problema, sono a disposizione. La vostra camera si trova al primo piano è la numero due, oltre a voi c'è un altro ospite inglese. La colazione viene servita dalle sette alle dieci del mattino, qui al piano terra, dovete entrare per quella porta» disse indicando una saletta alla nostra destra.

Dopo alcune formalità, ci accompagnò nella nostra camera consegnandoci le chiavi, per poi augurarci una buona permanenza. Briana pareva essere una donna molto gentile e con una bella parlantina. L'arredamento del suo B&B era veramente particolare e vivace come lei; le stanze, ognuna di un colore diverso, erano incantevoli. La nostra era turchese e sulle pareti c'erano illustrazioni marine dipinte a mano da Briana stessa.

«Che belle!» esclamai rompendo il silenzio. Steven era seduto sul letto, mi fissava con dolcezza, mentre con una mano mi invitava a raggiungerlo.

Quella rappresentava la nostra prima notte insieme e la cosa mi incuteva un po' di imbarazzo. Eravamo fidanzati da circa cinque mesi, non eravamo mai scesi così tanto in confidenza da dormire nello stesso letto, però non volevo mettere freni o farmi influenzare dal timore di commettere passi falsi o troppo affrettati. Nonostante mi sentissi stanca, il desiderio che avevo di lui era tanto e speravo di non essere l'unica a provare quelle sensazioni.

Mi sedetti accanto al mio ragazzo e mi liberai del giubbino e del foulard, godendomi quegli istanti e la percezione di poter davvero iniziare una nuova vita assieme.

«È strano...» esordì portando lo sguardo sulle nostre valigie.

«Cosa?»

«Questo, dormire nello stesso letto, è... strano» continuò con voce nostalgica. A cosa stava pensando?

«Per me non lo è, insomma, non fraintendermi, ma era da molto che attendevo questo momento.»

«Davvero?» Tornò a guardarmi con delicatezza e, regalandomi uno dei suoi sorrisi, mi diede un altro bacio. «Sono felice di averti qui con me» sussurrò, poggiando la sua fronte alla mia, con il respiro caldo mi solleticò le labbra che aveva baciato qualche secondo prima e una parte del mio cervello si sentì confortato da quelle parole. Seguirlo era stata la scelta giusta e le emozioni che stavo provando erano solo un'ulteriore conferma.

«Non potevo restare a Portland senza di te, credo di amarti, Steven» mormorai, per poi rimanere delusa nel vederlo staccarsi bruscamente. Cosa avevo detto di sbagliato?

Sospirai rendendomi conto che per lui non era lo stesso, lo capivo, non potevo pretendere di viaggiare sullo stesso binario, lui aveva bisogno dei suoi tempi e io lo avrei aspettato. Strinsi forte le dita sulle ginocchia, così tanto che potevo percepire le unghie pizzicare la pelle, ma era solo un misero fastidio rispetto a quello che stavo avvertendo dentro. Quanto avrei voluto rimangiarmi le ultime parole...

«Steven, tu non sei obbligato a...»

«A ricambiare il tuo sentimento? Kristin, ci tengo davvero tanto a noi, forse non te lo dimostro abbastanza, è vero, ma non so come avrei fatto senza di te nei mesi scorsi. Non dubitare mai del nostro rapporto, perché è la cosa migliore che mi sia capitata nell'ultimo anno.» Mi afferrò la mano, portandosela sul cuore. «Se ti dico che sei importante per me, mi credi?»

«Sì» affermai con convinzione, volevo credergli e non pensare a tutto il resto, perché avrebbe solo riacceso dei dubbi che avevo seppellito con fatica in quelle settimane.

I nostri visi si riavvicinarono e le nostre bocche questa volta si cercarono con avidità, legandosi l'una all'altra con passione. Feci scorrere le mie mani dal suo petto ai suoi fianchi, lui mi fece distendere sul letto e incominciò lentamente a baciarmi il collo, ad accarezzarmi le gambe e ogni lembo della mia pelle. Forse eravamo stanchi, ma i nostri corpi si volevano, lo percepivo dal modo in cui mi stringeva e mi baciava, lui voleva me, ma qualcosa lo frenava dal lasciarsi andare.

«Aspetta...»

Respirai a fatica, mentre notavo la sua espressione mutare più volte. Restò immobile per qualche attimo e poi si allontanò.

«Va tutto bene?»

«Scusami, sono solo un po' stanco» rispose voltandosi verso di me, che mi sentivo ancora sconvolta e sopraffatta. «Ti prometto che domani mi farò perdonare, non riuscirai a sbarazzarti delle mie coccole facilmente.» Sorrisi, ma ormai le sue coccole non mi bastavano, erano solo una tortura in più, io avevo bisogno di lui, di sentirlo mio, ma se continuava a fuggire mi confondeva parecchio.

«D'accordo, sono stati due giorni intensi, meglio riposare.» Forse per quella sera evitare di porgermi tante e troppe domande era l'unico modo per non sentirmi triste. Perché era tristezza quella che nutrivo quando lo vedevo allontanarsi da me.

Quella notte ci addormentammo entrambi nello stesso letto, a pochi millimetri di distanza e con le nostre mani intrecciate, a ricordarmi che forse le mie erano solo stupide paranoie...

Quella rosa tra i capelliWhere stories live. Discover now