Chapter forty-one

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" Unchangingly, you warmly embraced me

past the lonely times,

at the end of destiny, i met you

hold me tighter

endlessly pulled me, gravity "












Ron si sentì accarezzare dalla fresca brezza notturna, dandole un leggero pizzicore alle narici, mentre osservava con occhi assenti quella distesa brillante che decorava il cielo scuro. Una meravigliosa e pregiata opera d'arte creata dalle mani abili di un pittore.

Passeggiava irrequieta lungo il piccolo vialetto in pietra scura, che si districava con orgoglio fra l'erbetta sintetica del giardino difronte casa. Max era dentro, assieme ai cinque.

Prese un'altra boccata d'aria fresca e frizzante.
L'aveva lasciata parlare, spiegarsi e scusarsi ma i suoi occhi non tradivano il diluvio che stava avvenendo dentro di lei.
Durante il suo monologo non aveva fatto altro che guardarla con una punta di sdegno, d'amarezza e profonda delusione. Le aveva mentito per tutti quegli anni. Aveva raccontato fandonie su come fosse arrivata lì, in Italia, assieme a sua zia Maureen a causa di un improvviso trasferimento sede di lavoro.

Certo, era stata davvero ingenua a quel tempo da credere ad una simile menzogna.

La sua migliore amica, Max. Era stata davvero capace di guardarla negli occhi e raccontarle simili storie anche dopo aver rafforzato quello che credeva essere un rapporto di amicizia?

Sollevò ancora una volta il mento in aria, sfregandosi le mani contro le braccia, rabbrividendo per il leggero venticello che soffiava quella sera.

Era ferita.
Percepiva sul suo stomaco un peso enorme, che con prepotenza risaliva lungo la sua gola.
Gli occhi le brillarono di lacrime tuttavia solo il suo orgoglio le impediva di crollare a terra e commiserarsi, ripetendosi più volte quanto fosse stata stupida.

Rivoleva il suo passato, pretendeva quello.
Chiuse gli occhi, persa nei ricordi. La sua Italia, il bisogno di essere abbracciata dalla sua terra. Le parve per un secondo di rivedere perfino il profilo dei suoi genitori, sua madre intenta come al suo solito a schiacciare i punti neri del marito e quest'ultimo, sotto le torture della sua donna, ad imprecare verso il televisore perché probabilmente l'antenna sopra il loro tetto faceva a pugni con i gatti randagi.

Sorrise, nostalgica.
Poi una testa riccia varcò la soglia del portone principale, Max stava salutando suo padre con un cinque e la madre con uno dei suoi baci sulla guancia super schioccanti. Ed ora era voltata verso di lei, con le braccia spalancate ed il sorriso splendido.

"Corri Ron", si supplicò "Corri da lei, altrimenti quello che è stata svanirà" ma le sue iridi tornarono ad osservare il cielo stellato di Seoul, in quella sera piuttosto fredda.

Perché il passato è dovuto per forza cambiare? Non poteva semplicemente rimanere invariato? I ricordi erano così belli, talmente splendidi che desiderava solamente poterli tirare fuori e renderli nuovamente realtà.

Sembrava quasi di esser finita in un reality show, ma di quelli per drogati.

«Dovresti rientrare Ron, ti prenderai un malanno altrimenti.» la sua voce risuonava nella spaziosità di quel luogo calma e rauca, sofferente. Anche il suo sguardo era direzionato in alto.

«Mi pare di esser stata chiara prima» fece una pausa, un altro respiro «perfavore Max, va' dentro» ma la riccia puntò i piedi per terra, i suoi occhi s'incupirono.

«Era per il tuo bene, Ron...» bene bene e ancora bene, tutti parlavano di questo "era per il tuo bene" nonostante questo nessuno di loro si era spinto fino a spiegarle il perché di quella frase «urlami contro, tirami i capelli, magari anche una sberla, piangi con me, fai tutto quello che vuoi ma non mi ignorare o peggio... non mandarmi via.» ora la sua voce tremava e Ron si sentì mancare. Il suo cuore andò in frantumi nel momento in cui le guance della sua migliore amica si rigarono di lacrime.

«Ron, parlami, ti prego...»

Non voleva perderla perché sapeva per certo che all'infuori di lei non ci sarebbe stata nessun'altra persona in grado di farla sentire libera, a suo agio e felice.

«Mi hai mentito» parlò piano «fottuta stronza, hai avuto le palle di mentirmi!» poi uno schiaffo squarciò violentemente quel fastidioso silenzio «Fiducia» una spinta «sincerità» un altro schiaffo «dove Cristo le hai messe?»

Max se ne stava davanti a lei, incassando i colpi inflitti dalla sua migliore amica. Aveva le sopracciglia aggrottate, gli occhi chiusi con forza e le labbra arricciate in una piega dolorosa. Poi un grido uscì dalla sua gola ed un pugno si schiantò contro la parete cementata del dormitorio.

Ron era di pochi centimetri distante da lei, la testa china ed il braccio destro sfiorava il suo orecchio, poi un forte aroma di sangue invase le sue narici.

«Mi hai mentito» ripeté ancora «tutti voi mi avete presa per il culo» e dopo alcuni istanti gli occhi scuri della riccia affondarono in un mare tempestoso, sembrava che quella piccolissima pallina nera stesse cercando di trovare una via di salvezza fra quei cavalloni che cercavano di sotterrarla, mandarla nei fondali più scuri del suo nero ed affogarla. Poi l'acqua di quel mare straripò, fino a scivolare, sgorgare oltre le palpebre e raggiungere freneticamente la mascella della ragazza.

Pianse. Pianse per tutto, un libero sfogo che aveva trattenuto per troppo tempo. Pianse la mancanza di casa, dei suoi genitori; pianse per le bugie e per il dolore che queste le causavano; pianse perché quella non era la realtà che desiderava vivere; pianse perché purtroppo non avrebbe mai trovato la forza di abbandonare la vita di Seoul, assieme a quei cinque ragazzi ed infine pianse per Max perché solo la sua presenza manteneva la sua vita in perfetto equilibrio.

«Sì, forse sono ancora la stupida bambina ingenua di un tempo» fece una pausa, respirando in modo irregolare «perché anche uccidendoti di botte, non smetterei di volerti bene e di dirti quanto la tua presenza sia importante nella mia vita» le nocche sfregarono contro il cemento ed il braccio penzolò esanime lungo il fianco di Ron «umana o vampira che tu sia, ti vedrò comunque come la mia Max di sempre.»

Poi, un secondo dopo, il corpo della Cercatrice scivolò per terra, piazzandosi le mani contro il viso «Mi hai picchiata» constatò, massaggiandosi la mascella.

«Ti ho picchiata» ripeté Ron, imitando le azioni dell'amica.

«Ma non mi hai lasciata andare» continuò Max; ed il sorriso più radioso lo vide proprio quel cielo stellato, di quello che credeva Ron fosse una serata da dimenticare «Non ti ho lasciata andare» i suoi minuscoli denti bianchi affondarono nel labbro inferiore per trattenere un sorriso che decisamente stonava con le lacrime sulle sue guance.

«Smettila di ripetere tutto quello che dico!» ora la voce di Max sembrò riacquistare vigore, tono e spessore tanto da far distanziare di poco l'amica, che non perse tempo nel scimmiottarla con un «Smettila di ripetere tutto quello che dico!» ed entrambe, come immerse nella loro bolla personale e colma di calore, vennero scosse da forti risa «Okay, la metti così?» le puntò l'indice contro « ti voglio bene, Ron».

Quelle parole le sentiva più vivide, le percepiva marcate con un pennarello indelebile all'altezza del suo petto «ti voglio bene, Max.» era lei. Rimaneva sempre la sua Max, con o senza zanne. Con o senza canini affilati. Con o senza occhi ambrati. Umana? Immune? Vampira?

Sempre la sua Max rimaneva.

𝐕𝐀𝐌𝐏𝐈𝐑𝐄'𝐒 𝐁𝐀𝐂𝐊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora