Capitolo 26

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-Ora mi spieghi perché volevi tenermi all'oscuro di una cosa del genere. - rimasi in silenzio mentre il mio ragazzo urlava dall'altro capo del telefono. Aveva scoperto del ritorno di Ethan (colpa di Jace che pensava fosse una buona idea avvertirlo) e non aveva perso tempo a chiamarmi per farmi notare quanto avessi sbagliato nel tenergli nascosto l'avvenimento. 

-Perché non volevo farti preoccupare, ero convinto di poterla gestire tranquillamente da solo. - 

-Alec... Ti devo ricordare il motivo per cui tu ti trovi a Seattle? - sapevo benissimo che aveva ragione, ma non volevo ammettere a me stesso che il ritorno di Ethan mi potesse condizionare ancora in modo così prepotente. 

-Lo so benissimo qual'è il motivo. So anche, però, che se adesso stiamo insieme è perché io sono riuscito ad andare avanti. - 

-So quanti sforzi hai fatto per arrivare a questo punto, abbiamo sofferto molto entrambi. Ma sei riuscito a superarlo grazie alla forza di volontà, all'aiuto che ti è stato dato e alla distanza tra te e la base dei tuoi problemi; ora però è tornato il seme ed ho paura che possa far crescere nuovamente quella pianta piena di cattiveria e dolore che ti sei portato dietro per anni. - il tono che stava usando mi prese il cuore e me lo strinse tanto forte da far male: era preoccupato e tremendamente addolorato per questa situazione ed io, insensibile, avevo preferito tenerglielo nascosto. Se Jace non glielo avesse detto, io avrei continuato per la mia linea di pensiero totalmente errata e masochista, che non avrebbe sicuramente avuto un happy ending. 

-Lo so, Magnus, ti chiedo scusa, davvero. Ho agito per paura. Il suo ritorno mi ha destabilizzato e i miei pensieri non erano affatto razionali in quel momento, speravo di poter affrontare la mia più grande paura e sconfiggerla una volta per tutte, ma adesso non ne sono più così sicuro. - attimi infiniti di straziante silenzio seguirono le mie parole, accompagnate da leggeri sospiri che accarezzavano le mie orecchie ed il mio cuore stordito. 

-Mi dispiace Alec, devo andare adesso. - e la chiamata si chiuse così, senza una spiegazione, senza una parola di conforto: ghiaccio su fuoco, silenzio su rumore, il suono dannatamente assordante del mio cuore che batteva rapidamente per la paura e la sensazione orribile dei miei occhi liquidi per le lacrime. Avevo rovinato tutto un'altra volta? Tutto a causa del mio maledetto passato che non mi vuole abbandonare . 


-Alec! Che bello vederti, come stai? - 

-Ciao Ethan, sto bene. - 

-Non sembra sai? Sei sicuro di non voler un abbraccio? Ti facevano sempre stare meglio. - 

-Quando avevo diciannove anni, forse, ma adesso è l'ultima cosa che voglio. Sopratutto da te. - trascinai i miei piedi alla mia scrivania e mi sedetti con un leggero tonfo, attutito dalla spugna morbida della seduta della mia sedia. 
Magnus non mi parla da ormai tre giorni e io non avevo la minima idea su cosa fare per riportare le cose come prima. 
Ethan continua a ricordare "i bei vecchi tempi" insieme al desiderio che tutto torni come quando eravamo ragazzi e io non sono più sicuro di poter riuscire a continuare a ignorare le sensazioni negative che cercano di schiacciare la mia razionalità e tutti i progressi di questi ultimi anni.

-Non avrei mai pensato che ci avresti messo così tanto a cedere al mio charme. Dovrò impegnarmi più di quanto avevo programmato. - non risposi e sospirai, cercando di non farmi sentire dal pazzo affianco a me.
Jace è in viaggio per lavoro e con il fuso orario non riesco mai a parlarci, quindi non ho alcun aiuto psicologico e sento di star per impazzire.

-Smettila Ethan, devi finire di compilare il documento che ti ha chiesto Jackson ieri, se non lo fai entro stasera tutto il progetto si rallenta e io non ho alcuna intenzione di avere problemi a causa tua e del tuo malato bisogno di rompermi le palle. -

-Mi piace questo tuo nuovo carattere, ho sempre amato combattere. - alzai gli occhi al cielo e continuai il mio lavoro fingendo di non averlo sentito. 



Il rumore delle suole delle mie scarpe che strisciavano sul pavimento del mio condominio era l'unico suono che riuscivo a percepire in quel momento: solitamente mi soffermavo sul leggero vociare dei miei vicini che, a causa delle pareti sottili, raggiungevano involontariamente le mie orecchie. Tutto il palazzo sembrava deserto quella stupida sera di giugno e io cercai di accelerare il passo per raggiungere rapidamente il mio appartamento e chiudermi in camera con la mia tristezza e il silenzio della notte. 
Il lavoro era stato una tortura e le parole assillanti di Ethan stavano riuscendo nel loro intento, stavo per crollare di nuovo sotto la sua spietata bravura nel manipolare il mio fragile animo da ragazzino insicuro il quale ero rimasto. Tutto quel tempo di terapia sembrava essere ormai solo un bel sogno, un'illusione di un passo davanti che, in realtà, non ero mai riuscito a compiere. Ora anche la mia relazione sembrava appartenere a quel mondo fantastico e tutti i ricordi negativi e il dolore stavano risalendo a galla, come se si fosse aperto il mio personale vaso di Pandora. 

-Non ce la faccio più. - sussurrai una volta in salotto, come se ci fosse qualcuno che potesse ascoltarmi. Invece c'era solo buio, silenzio e polvere che si depositava lentamente sul mobilio in legno laccato. 

-A fare cosa? - alzai improvvisamente la testa all'udire di un'altra voce familiare. Il volto del mio ragazzo si presentò davanti al mio una volta che mi fui girato verso il suono inaspettato. 

-Magnus. Che ci fai qui? E come sei entrato? - 

-Dalla porta. Eri così sovrappensiero che non ti sei nemmeno reso conto di averla lasciata aperta. Non siamo a Brooklyn ma ciò non significa che non sia pericolo lasciare la porta di casa aperta. - sorrise leggermente scaldandomi il cuore in un solo, bellissimo, istante. 
Senza dire alcuna parola mi precipitai tra le sue braccia che mi cinsero subito i fianchi in un gesto che sapeva di casa e di amore. Un calore piacevole divampò immediatamente nelle mie vene: avevo rischiato di scordarmi quanto bello fosse stare tra le braccia della persona amata; una sensazione di totale piacere, che ti fa sentire a tuo agio e totalmente protetto. 
Ho amato e odiato, a volte, senza nemmeno notare la differenza, ma con Magnus era solo amore, soltanto calore, piacere e conforto che si univano per ricoprimi completamente facendomi sentire vivo e, allo stesso tempo, congelato in un momento di pace e serenità. 

-Ti amo. - dissi in un fievole mormorio idillico. 

-Ti amo anche io Alexander. Ed è per questo che sono qui - mi staccò dal suo corpo e un rapido brivido di una gelida intensità mi pervase tutte le ossa in una volta sola. - non potevo stare a New York a continuare la mia monotona quotidianità sapendo cosa tu stia affrontando qui, senza alcun aiuto. - il mio sguardo rifletteva il turbine d'amore che provavo dentro di me: potevo chiaramente percepire i miei sentimenti traboccare dalle miei iridi lucide di lacrime e passione. 

-Grazie Magnus. Sei arrivato nell'esatto momento in cui il muro che mi ero creato era in procinto di crollare. - 

-Lo sento. - lo guardai perplesso e lui rise leggermente donandomi vita. -prendimi per pazzo, ma c'è scritto anche su internet. A volte, delle persone che sono molto legate tra di loro riescono a sentire ciò che prova l'altro. Di solito è dolore fisico, ma penso che il tuo tormento interiore sia talmente forte da farsi percepire. Si chiama "simulpatia" e consiste nel sentire il dolore di una persona a te a cuore nonostante la distanza. Io posso sentirlo Alexander, riesco a sentire quanto tu stia male per questa situazione ed è come se tutto quello che stai provando adesso fosse il mio supplizio, quindi non potevo starmene a casa a sentirti soffrire senza cercare di risolvere la situazione. - Lasciai che le mie labbra venissero separate dallo stupore causato dalle sue parole. Non riuscivo a credere a tutto quello che aveva appena detto, ma avevo come una sensazione profonda che mi assicurava la totale veridicità delle sue parole. Sorrisi e mi avvicinai lentamente al suo volto, fino a far sfiorare i nostri nasi. 

-Non ti ho mai amato così tanto. - poi feci unire le nostre labbra in un contatto desiderato per molto tempo: non era un bacio normale: non c'era libido a ricoprirlo con il suo strato di lussuria, non c'era nemmeno amore. Quel contatto era intriso di consapevolezza, avevamo realizzato in un solo istante di poter contare sempre sull'altro e che eravamo anime gemelle destinate a percorrere la stessa direzione per l'eternità. 







Teacher||MALECWhere stories live. Discover now