Capitolo sette

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Il giorno dopo andai a lavoro, cioè da JaureguiEngines. molte volte inciampai sulle scale durante il tour dell'azienda. Poi, spesso fui sorpresa dalla corvina in momenti in cui ero totalmente assente, in un altro mondo, dove c'erano solo i miei problemi. Tutto ciò era causato dalle ore piccole della notte prima. Nella precedente notte avevo dato pugni al muro e mi ero lamentata con Shawn senza concludere niente. Non avevo il coraggio di accendere il computer e continuare con il mio lavoro. Tenevo il computer dentro un cassetto, a chiave, e chiudevo la porta, a chiave. Avevo davvero tanta paura che l'hacker pubblicasse altro su quel blog, o pagina. Se avesse rivelato il mio nome? Dio... non potevo pensarci, no. Avevo tanta paura. Avevo paura che pubblicasse e rivelasse il mio lavoro.

"Camila!" urlò Lauren, risvegliandomi dei miei pensieri. Le sue braccia circondarono forte la mia vita. Il suo respiro era corto, forse per lo spavento, e una macchina era passata ad una velocità impressionante a qualche centimentro di distanza da me. Era stata questione di secondi, o forse di millesimi, la mia concezione del tempo in quel momento era sbilanciata. "Dio..." ero ancora tra le sue braccia.

Stavo per essere investita per colpa dei miei pensieri. Sarei potuta morire tra momenti, tra una strada di Miami. Lauren mi aveva salvata.

"Cosa ti è saltato in mente?!" urlò, spaventata, quando le sue braccia si allontanarono dal mio corpo. "Dio, Camila. Mi hai spaventata! Io..." delle lacrime stavano scendendo sul suo viso.

Tutto per colpa mia. Ero un disastro, lo sapevo. Odiavo vedere le persone piangere per me, per questo non mostravo mai a mia madre la mia tristezza. Se ne sarebbe dispiaciuta e avrei peggiorato la sua depressione.

"Scusa" dissi piano, guardando un punto vuoto.

Se quel sconosciuto avesse pubblicato il mio nome, io sarei morta, sarei stata perseguitata, criticata, bullizzata. Mio padre mi avrebbe uccisa. Io... non avrei potuto vendicarmi. Avevo tanta paura.

Prima che me ne potessi rendere conto, e mie difese scesero in una fretta impressionante. Le insicurezze iniziarono a prendere il sopravvento, manifestandosi con lente lacrime sulle guance. Stavo iniziando ad essere così terrorizzata da essere quasi investita. Grazie a Dio c'era Lauren con me, che dopo una lunga giornata lavorativa mi aveva invitata a bere un caffè in bar, vedendomi turbata, ma a quanto pareva un caffè non lo avrei gradito per niente dopo quel quasi-incidente.

"Camila..." la sua mano si posò in una mia guancia, e fu tardi quando la cacciai via. Quella carezza si incastrò nella mia pelle, nei miei ricordi. Quella carezza aveva fatto male, sarebbe stato un ricordo terribile. Nessuno sapeva della mia fobia per quel tipo di gesto affettuoso.

"Non mi toccare" dissi, scomponendo le parole con enfasi. Lei provò a riavvicinarsi ma io la evitai. "Per favore" fu quasi una supplica la mia.

Lei ritirò la mia mano, notando sicuramente che mi stessi sporgendo dal marciapiede, cosa che notai anche io quando toccai il bordo.

Io non ero fatta per l'amore. Quell'abbraccio che avevo ricevuto da Lauren si era incastrato nei ricordi, come la sua carezza, e Dio se mi pentì. Dio se mi maledì. L'ultimo abbraccio, prima di quello di Lauren, apparteneva a mia madre, e l'ultima carezza pure.
Lauren, in quel momento, non era misteriosa, era semplicemente, una ragazza normale, con degli occhi verdi che solitamente sembravano misteriosi. In quel momento, nei suoi occhi, vidi solo sincerità. Lauren era sincera.

Mi sentivo indifesa, le mie lacrime scendevano disperate. Dio, quanto odiavo quella frustrazione, quel dolore interiore con cui convivevo da sempre, quella sete di vendetta che sembrava veleno per le mie vene. E Dio, se amavo il veleno, ma a volte volevo soltanto vedere sangue in me., belle mie vene.

Una carezza e un abbraccio avevano buttato al vento anni di costruzioni difensive.

"Camila" la sua voce era rotta, per il pianto di prima. Di nuovo, cercò di prendermi, ma io ero troppo terrorizzata. Stava per venirmi un attacco di panico. Volevo andarmene.

"Non toccarmi, se no mi faccio investire" dissi, sul bordo di un precipizio. Ero sincera, forse anche troppo. Solo in quel momento non mi importò più niente del piano, della mia vendetta. L'unica cosa che volevo... era non incastrare altri ricordi nel cuore. Volevo che gli ultimi fossero di mia madre e di nessun altro.

Lauren indietreggiò, esitante. Io asciugai le lacrime, poi feci un passo avanti e guardai l'azienda alle sue spalle.

"Devo rimandare il caffè ad un altro giorno. Buonaserata, Jauregui" dissi, freddamente. I miei occhi però non erano molto d'accordo con le mie intenzioni. Volevo apparire indifferente, priva di emozioni.

Lauren non disse niente. Mi lasciò andare. Io la ringraziai nella mia mente e lasciai andare un sospiro di sollievo.

"Un altro ricordo, incastrato tra i pensieri. Un altro ricordo, che fa male quanto uno schiaffo" pensai quando entrai in macchina.

GameOnSex ➳ CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora