44. Una città sconosciuta

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Tyler è seduto sul letto, e tra le mani stringe una piccola maglietta colorata, di un bambino che non potrebbe avere più di sei anni.

Mi avvicino lentamente, cercando di fare il minimo rumore possibile.
Mi siedo piano sul letto e lo abbraccio.

Sento che sta tremando, e mi piange il cuore per lui.
Sapevo che non doveva essere stata facile per lui la morte del fratello, ma non avevo mai capito fino a che punto ci soffrisse.

Ma adesso lo capisco.

Non dice nulla, e si lascia consolare tra le mie braccia, come se fossero l'unica cosa in grado di confortarlo in questo momento.

Dopo qualche minuto si stacca da me, e sembra che si sia calmato un po'.

"Stai bene?", domando dolcemente, guardandolo negli occhi.

"Non sono mai entrato qui dopo la sua morte.
Credevo che non fosse reale.
Non ho mai realizzato davvero che Ash non c'era più.
Ero piccolo a quel tempo, e credevo che fosse stato solo un brutto incubo.
Ma quando sono entrato qui mi è ripiombato tutto addosso.
Ho cominciato a ricordarlo, a ricordare lui, i nostri pochi momenti insieme.
I miei genitori non hanno mai voluto affrontarlo, e dopo la sua morte non hanno toccato più questa stanza.
Hanno lasciato tutto come era prima.
Come se per loro fosse ancora vivo", sussurra, e delle lacrime minacciano di sgorgare dai suoi occhi chiari, che oggi hanno vissuto più di quello che un ragazzo della sua età meriterebbe di vivere.

"Non avevo mai capito quanto ci tenessi", sussurro a mia volta, cercando di capirlo.

"Neanche io, fino a quando non sono entrato qui dentro. Da una parte sono felice di essere tornato: ora so che posso davvero lasciarmi tutto alle spalle, o almeno provarci.
Sono venuto qui per dire addio alla mamma, ma so che lo sto dicendo anche ad Ash.
Si merita l'addio che non gli ho mai dato. Che nessuno della sua famiglia gli ha mai dato", ammette, guardandomi negli occhi, e stringendo la mia mano nella sua.

Rimaniamo così ancora per qualche minuto, e poi decide di alzarsi.

Quando usciamo dalla stanza, Tyler la chiude a chiave.

"Andrò a nasconderla da qualche parte", dice, ed io annuisco.

"Chiama tuo fratello, nocciolina, prima che sia troppo tardi", dice prima di andarsene, e io mi risveglio completamente.

Giusto, Jordy, me ne ero completamente dimenticata.
Sono le sette, sono sicura che sia già sveglio.

Avvio la chiamata e aspetto che gli squilli del telefono si trasformino in una voce, spero anche il più rilassata possibile.

"Ele? Ma dove diavolo sei? Stavo per chiamarti io! Sono appena stato in camera tua e non c'eri", esclama, e devo allontanare il telefono per non farmi urlare nell'orecchio.

"Jordy devo dirti una cosa, ma prima di interrompermi fammi finire e, per favore, non arrabbiarti o metterti a gridare"

"Cosa c'è? Ti è successo qualcosa?", mi chiede preoccupato.

Prendo dei lunghi respiri, e poi dico:
"Sto bene, è solo che sono ad Atlanta, perc... "

"Ad Atlanta?! Ma sei fuori di testa?! Che diavolo ci fai ad Atlanta?!", urla dall'altra parte del telefono, era ancora una volta devo spostare il telefono dal mio orecchio per non rompermi un timpano.

"Ti avevo chiesto di non interrompermi!", gli faccio notare, buttandola sul ridere.

"Ma ti sembra il momento?
Ele, che diavolo ci fai in un altro stato?", sbotta.

"Ho accompagnato Tyler. Ho dovuto, Jordy, ha avuto un problema di famiglia importante e non potevo lasciarlo andare da solo.
Non ha nessuno", sussurro, sperando che mi capisca.

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