8. Non esiste più

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"Che ti piacerebbe fare dopo il liceo?", mi chiede Paul, mentre ci dirigiamo tranquillamente verso l'aula di inglese.

"Non so... non ci ho pensato molto, in realtà. Mi piacerebbe andare all'università, vorrei approfondire gli studi sulla psicologia, e il comportamento dell'animo umano, ma non ho ancora preso decisioni. Il prossimo anno avrò tutto il tempo per farlo", commento, prendendo posto nel mio banco.

"Psicologia, eh? Deve essere interessante", commenta con un sorriso, mettendo in risalto i suoi sorridenti occhi nocciola.

"Lo è, davvero. Non so come spiegarti... È così strano poter pensare di analizzare le emozioni della mente umana, e ancora di più figurarle nel mondo reale", farfuglio, mettendo in ordine i miei pensieri.

"E tu invece? Cosa vorresti fare?"

Sembra pensarci un attimo, vagando con lo sguardo nella piccola classe, in cerca di una risposta in mezzo a tutte queste cianfrusaglie.

"Non credo che andrò all'università, vorrei mandare avanti l'azienda immobiliare della mia famiglia. Ci tengono tanto, e a me farebbe piacere", aggiunge sorridendomi.
Credo sia davvero bello che tenga così tanto a rendere fiera la sua famiglia.

Ieri sera ho aiutato Marty con i compiti fino a tardi, e questa mattina sono uscita di casa prima per non incontrare nessuno.
È stato già abbastanza difficile dover mentire senza pudore a mia sorella, vorrei evitare di farlo con Jordy e la mamma.
Sempre che non lo sappiano già, ma spero di no, anche se credo che mia mamma l'abbia capito.

Egoisticamente, ho deciso che devo stare alla larga da Tyler.
Ieri, quando mi ha riaccompagnata a casa, mi sono lasciata troppo prendere la mano da lui e dai suoi tentativi di starmi vicino, ma è stato un errore.

So che è meschino da parte mia, perché non ha nessuna colpa, se non quella di aver cercato di aiutarmi, ma non me la sento di affrontarlo.
Non voglio fargli pesare i miei problemi, me mie insicurezze e le mie fragilità, credo sia meglio tenerlo fuori.

Più che altro, lo faccio per paura.
Ho paura che quando verrà a contatto con la vera me, piena di insicurezze e debolezze, rimarrà deluso, e mi abbandonerà.
E preferisco evitare un dolore simile.

Il professor King, il nostro professore di inglese, entra in classe e da inizio alla lezione.

Tyler arriva poco dopo, entrando in classe velocemente e scusandosi appena per il ritardo, prendendo posto nel banco accanto al mio.

Per tutta l'ora cerco di concentrarmi sulla lezione e di non pensare a Tyler di fianco a me, che per la prima volta, segue la lezione del professor King.

Appena suona la campanella, mi fiondo fuori dall'aula alla velocità della luce e cerco di raggiungere il mio armadietto il più in fretta possibile, per evitare di parlare con Tyler.

Purtroppo però è più veloce, e mi raggiunge in pochi secondi, camminando affianco a me nel modo più tranquillo del mondo.

"Dove corri, nocciolina?", domanda, con un vago sorriso sul volto, i capelli scuri che ricadono sulla sua fronte e minacciano di coprirgli gli occhi verdi, che oggi brillano come non mai.

Io accelero il passo, ma invano, perché riesce a raggiungermi comunque, e mi si piazza davanti, sbarrandomi la strada e costringendomi a fermarmi.

"Stai bene? Perché stai correndo?", domanda, stavolta con tono vagamente preoccupato.

"Sto benone, ora scusami ma devo andare a lezione", farfuglio con lo sguardo a terra, facendo per andarmene.

"Che c'è, vuoi fare finta di niente? Non è così che funziona, in caso non lo sapessi", dice infastidito.

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