43. Viaggi inaspettati

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"Vieni con me", propone, aspettando ansioso la mia risposta.

"Non posso, Tyler, si tratta della tua famiglia, io che cosa centro?", cerco di farlo ragionare, ma dalla sua espressione capisco che non vuole sentire ragioni.

"Tu sei la mia famiglia, nocciolina.
Non posso andarmene sapendoti qui da sola."

Quando vede che non rispondo, continua.
"Parlerò io con tua madre, adesso, so che è questo che ti preoccupa", dice fermamente, e fa per scendere dalla macchina.

"Sei pazzo? Non mi lascerebbe mai andare se lo sapesse", esclamò fermandolo.

"Allora cosa intendi fare? Andartene senza dire nulla a nessuno? Non ti permetterò di distruggere i rapporti con la tua famiglia a causa mia, sapendo cosa si prova"

"No, io... lo dirò a mio fratello, glielo spiegherò domani mattina, sono... sono sicura che capirà e che mi coprirà", dico, cercando di convincere più me che lui.

"Sei sicura? Non voglio che... ", dice preoccupato, ma lo blocco.

"Si, sono sicura. Ora, fammi solo prendere quello che serve per partire, e poi possiamo andare", dico confusa, cercando di mettere in chiaro la situazione.
Lo sto facendo davvero?

Salgo in casa piano, anche se so che stanno già tutti dormendo, ma non voglio svegliare nessuno.

Prendo un borsone, ci infilo dentro qualche felpa, pantaloni, giacchetto...
Insomma, quello che serve.
Spero di star facendo davvero la cosa giusta e soprattutto, spero davvero con tutto il cuore che mio fratello mi capirà.

Scendo cauta le scale, mi chiudo la porta alle spalle e salgo in macchina di corsa.

Dopo aver fatto lo stesso con lui, e dopo aver preso anche la sua roba, ci avviamo verso l'aeroporto.

Facciamo i primi biglietti disponibili, ed aspettiamo il nostro volo, che dovrebbe partire tra due ore.
Ho visto su internet che il tempo del viaggio sarà massimo altre tre ore.

Mentre aspettiamo sulle scomode sedie dell'aeroporto, improvvisamente mi vengono in mente mille cose a cui non ho pensato.

"Tyler, dove andremo a dormire?", domando preoccupata.

"A casa mia.
O meglio, quella che era una volta casa mia. Mia madre è in ospedale", dice, vagando con lo sguardo nella grande sala d'attesa dell'aeroporto in cerca di qualcosa he non siano i miei occhi.

In tutto questo, non ho pensato al riscontro emotivo che potrebbe avere in lui questo viaggio.
Insomma, sta tornando nella città dove è nato, nella casa dove è cresciuto, e tutto per dire addio a sua madre.

"Stai bene?", chiedo, un po' preoccupata.

"Si, non preoccuparti. Almeno, per adesso si.
Ma so che quando arriverò lì, cambierà tutto"

Decido di non dire più nulla.
Verso le due di notte parte il nostro volo, che è praticamente deserto.
Non sono mai stata ad Atlanta, ma dicono che sia una bella città, e che d'inverno faccia davvero molto freddo.

Per fortuna siamo a fine di aprile, altrimenti dovremmo patire anche quello.

"Dormi un po', nocciolina", mi dice Tyler, seduto nel posto accanto al mio.

"Tu non dormi?"

"Non preoccuparti per me", mi tranquillizza con un sorriso.

Non so dopo quanto, ma sento la mano di Tyler che mi scuote leggermente il braccio.

"Siamo arrivati", dice, la voce coperta dagli altoparlanti che annunciano in tutte le lingue l'arrivo ad Atlanta.

Dopo dieci minuti scendiamo dall'aereo e recuperiamo i nostri bagagli dentro l'aeroporto.

Non mi toccare Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora