Capitolo ventidue ; io non posso più farlo

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«Non ti capisco» sbotta ad un tratto. «Pensavo ti piacesse. Pensavo di piacerti. Sembravi felice»

«Paulo, mentirei se dicessi il contrario» sono sincera, almeno. «Ma io non sono la tua amante o cose del genere. Non sono inferiore a mia sorella né altro, e di conseguenza non ho bisogno di baciarmi il suo ragazzo di nascosto per sentirmi realizzata!»

Il silenzio che cala non è imbarazzante, ma è opprimente e pressante.

«Mi dispiace, Paulo. Non possiamo più andare avanti. Io non ce la faccio. Ho così tanti sensi di colpa perché sto rovinando la relazione di mia sorella con il ragazzo che ama ed in più mi sto facendo trattare come un oggetto. Ci ho pensato a lungo, ed io non posso più farlo»

Rimane zitto. Non apre bocca. Si limita a guardarmi con quei suoi occhi magnetici e a passarsi una mano fra i capelli castani.

Non ci penso due volte e mi volto, uscendo dalla camera e lasciando Paulo solo all'interno.

Mentre scendo le scale, diretta in cucina per fare colazione, sento gli occhi pungermi per le lacrime, ma non ne capisco il motivo: lo conosco solo da un mese e mezzo, non posso essermi affezionata così tanto.

Che bel modo di iniziare il mio secondo giorno da ventenne.

*

Non ho mai saputo cucinare molto bene.

In famiglia, è sempre stata Oriana quella che stava ai fornelli e sapeva sfornare mille cose deliziose.

Io me la sono cavata imparando a fare la pasta, il tè e la carne, niente di speciale.

Quindi, mentre mia madre, Alicia (ovvero la mamma del numero dieci) e la ragazza dai capelli castani, sono in cucina a finire di preparare il pranzo di Natale, io sono in salone, con la televisione spenta, a leggere il vecchio libro sull'etimologia delle parole, probabilmente per l'ultima volta, visto che ieri Paulo mi ha regalato la nuova edizione, per il mio compleanno.

Passata circa una mezz'oretta, la madre dell'argentino entra in salone, con i guanti da forno ancora indosso.

Si siede con calma sul divano, a circa un metro da me.

Lentamente, si volta ad osservarmi e mi sorride: i suoi occhi sono pieni di bontà e di gentilezza.

«Non credo di averti dato il buongiorno, cara» dice.

Ricambio il suo sorriso e chiudo il libro, poggiandolo sul tavolino da caffè davanti a me. «Buongiorno anche a lei»

«Oh, guapísima, sei così dolce. Tuttavia sono qui per parlarti di una cosa in particolare. Posso farti prima una domanda?» gli angoli della sua bocca si alzano ancora di più all'insù.

«Certo»

«Tu e Oriana siete sorellastre, non sorelle, vero?» chiede.

Quella domanda mi lascia un po' spiazzata, ma rispondo subito. «In realtà no. Abbiamo la stessa madre, ma mio padre era norvegese. Sono stata frutto di una sola notte di passione, poi loro due non si sono più incontrati e mio papà è tornato in Norvegia»

«Non l'hai più visto?» domanda. Nel suo sguardo leggo compassione per la storia che le ho appena raccontato.

«No, mai. Però un giorno mi piacerebbe andare in Norvegia, sa? Non a cercarlo, non porto rancore verso nessuno, solo per vedere com'è il posto.» spiego, abbassando gli occhi.

«Magari potresti andarci con Paulo. Lui ti accompagnerebbe di certo. Gli piaci tanto»

Quasi mi strozzo con la mia stessa saliva. «Come, scusi?»

«Ho detto che gli piaci tanto, al mio nenito» ripete ed io arrossisco violentemente.

Rimango in silenzio, mentre divento pian piano un pomodoro, e Alicia scoppia a ridere.

La sua risata è cristallina e bellissima.

Proprio come quella di suo figlio...

«Oh, cara! Non dirmi che non te ne sei accorta!» ridacchia «Ti guarda come non ha mai guardato nessun'altra.
Non ha mai guardato così nemmeno Oriana. Mai, mai, mai. La dolcezza, la speranza nell'amore nel suo sguardo...erano sentimenti che non avevo mai letto prima, nei suoi occhi. Quando guarda te, invece, glieli si leggono in faccia. Sono felice che ti abbia trovato»

Quelle parole mi lasciano senza fiato. Sono paralizzata e le mie guance sono due peperoni.

«Mi scusi signora Dybala, ma suo figlio è il ragazzo di mia sorella...» mormoro, ancora ghiacciata sul posto, per il suo discorso.

«Oh, "dai tempo al tempo". Lo diceva sempre mio marito, sa? Quando Paulo non veniva scelto a giocare in qualche squadra organizzata dai bambini all'asilo, perché era troppo esile e basso in confronto ai suoi compagni, lui gli ripeteva sempre "dai tempo al tempo".» sospira.

«E guarda dov'è arrivato adesso, il mio nenito. Mi campeón. Suo padre sarebbe così orgoglioso di lui...» abbassa lo sguardo per un attimo e sbatte più volte le palpebre, come per ricacciare indietro le lacrime.

So quello che è successo al papà di Paulo Dybala. Chi non lo sa? I giornalisti e i mass media ricordano sempre della morte del padre, quando si menziona il giocatore juventino.

Quando torna a guardarmi, i suoi occhi sono ancora lucidi. «Fallo anche tu, Noemi Sabatini. Dai tempo al tempo. Mio figlio è un testardo di prima categoria, ma quando anche lui si renderà conto di ciò che prova per te e riuscirà ad ammetterlo, ti darà così tanto amore che ti sentirai la donna più fortunata al mondo.»

«E cosa le suggerisce che io provi gli stessi sentimenti per Paulo?» sussurro, con la voce strozzata: è così evidente quello che sento nei suoi confronti? Quello che sentiamo entrambi?

«Oh, tesoro, voi giovani d'oggi siete così orgogliosi e vi credete delle fortezze impenetrabili, ma io vi riesco a leggere come un libro aperto»


scusate il capitolo scritto male e pieno di errori di sintassi, ma è stata una settimana parecchio pesante.
Spero che la storia non vi stia annoiando, ma che vi stia piacendo e coinvolgendo. Critiche costruttive e altri tipi di commenti sono sempre ben accetti!☁️
Lavinia.

Hurricane - Paulo Dybala [IN REVISIONE] #Wattys2019Where stories live. Discover now