Capitolo quattordici ; come si dedicano i goal?

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Non appena esco dalla stazione di Torino, dopo essere tornata dall'università la quale è a Milano, trovo Paulo ad aspettarmi nel parcheggio, accanto alla sua auto.

«Com'è andato il primo giorno alla Bocconi?» chiede, con un sorriso enorme sulle labbra.
«Alla grande» sorrido.

Lui entra in macchina ed io lo imito, sedendomi davanti, al posto del passeggero.

«Come sono i compagni? E i professori?» domanda e non so perché, ma quell'improvviso interesse nei miei confronti mi scalda il cuore e fa alzare gli angoli della mia bocca ancora di più all'insù.

Rispondo alle sue domande e poi iniziamo tranquillamente a parlare del più e del meno.

Osservo il paesaggio fuori dal finestrino, persa nel guardare ogni albero e ogni casa che sfreccia accanto a me, diventando solo una figura sfocata.

«Volevo chiederti una cosa, però mi devi promettere che non mi riderai in faccia» sussurra ad un tratto il numero dieci, per poi abbassare il volume dello stereo, che prima lui stesso aveva acceso, tenendolo però sempre al minimo.

«Dimmi tutto» dico e mi volto a guardarlo.

Lo squadro dalla testa ai piedi e noto che indossa la tuta; probabilmente perché, da come mi ha raccontato lui, dopo essere andato all'allenamento di questa mattina, è tornato a casa, ha pranzato, si è fatto la doccia, e si è semplicemente infilato una felpa grigia e un paio di pantaloni presi a caso in fretta e furia per venirmi a riprendere alla stazione.

«Dopodomani tua sorella tornerà a Torino» mormora.

Quelle parole mi destabilizzano un po', forse perché mi ero più o meno abituata a questa situazione a casa senza di lei, ed adesso riaverla mi farà molto strano, soprattutto per via di quest' "amicizia" che si è creata fra me e il suo ragazzo.

«Ehm...e allora?» sospiro e cerco di non farmi ammaliare per l'ennesima volta da quegli occhi color verde-azzurro così meravigliosi che potrebbero fare invidia al mondo intero.

Eppure sono un'idiota ed ogni volta che mi guarda, ci casco come se fosse la prima.

«Domani ci sarà Juventus-Atlanta. So che a te non piace il calcio, ma...» si interrompe e fa una lunga pausa.

«Ma...?» sbuffo ed alzo gli occhi al cielo, indispettita per l'ansia che mi sta facendo salire ogni volta che si ferma.

«Ma mi piacerebbe molto che tu venissi a vederci» silenzio. «Ovviamente, il biglietto te lo procurerò io stesso, o meglio, l'ho già fatto. Sarai proprio dietro la panchina su cui si riposano i giocatori che non partecipano. È un posto d'onore e non puoi rifiutare»

A quelle parole, sento una scarica di brividi lungo tutta la schiena, così come la pelle d'oca che invade tutto il mio corpo: non me lo sarei mai aspettato. Non adesso. Non così. Non da lui.

Non dal fidanzato di mia sorella...

«Perché ci tieni tanto che io venga?» chiedo, praticamente mormorando, anche se nemmeno io capisco il motivo per cui io abbia parlato con una voce così debole.

Silenzio tombale. Paulo non risponde.

«Cioè insomma, io non sono mai andata a vedere nessuna partita a nessuno stadio. A malapena ho visto quelle in televisione. Non ci capisco niente di calcio, e quando mia sorella voleva vederti giocare in tv insieme a mio padre, io mi chiudevo in camera a leggere con le cuffie a tutto volume» confesso e il ragazzo dai capelli castani scoppia a ridere.

Alza per un attimo le mani dal volante, e le porta verso l'alto, come in segno di resa. «Non so perché lo voglio, detto sinceramente, eppure mi farebbe tantissimo piacere la tua presenza al mio fianco» dice, ancora ridacchiando per il mio racconto.

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