3.You're my devil

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Mi trovavo ancora lì,seduta su una panchina ascoltando solo il brusio e i passi della mia grande città:New York. Lui era seduto davanti a me,a guardarmi con gli occhi scuri,arrabbiati,come il mare in tempesta,come i fulmini nel cielo. Prese le mie caviglie e tolse la corda che mi legava,si avvicinò alle mia mani e mi liberò completamente. Mi massaggiai i polsi prima di ricambiare la forte botta sulla guncia che mi aveva dato qualche minuto fa.

"Nessuno ti ha insegnato che non si picchia una donna,caro?!"

Li urlai contro. Lui si alzò e corse verso di me,sentii il muro premere sempre più forte contro la mia schiena,le sue braccia tenevano i miei polsi ai lati della mia testa,spinse il suo bacino contro il mio. In quel momento l'unica cosa a cui riuscii a pensare fu: che cosa ci facevo lì? Avevo fatto qualcosa di sbagliato?

"La pagherai per questo,piccola" mi disse.

"Che ci faccio qui?" Chiesi curiosa dopo vari tentativi di liberarmi,tutti senza risultato.

"Ieri sei venuta qui,non dovevi,mi hai attaccato e non dovevi,sei scappata e ,anche questo,non dovevi farlo. Adesso sei qui e ti insegno cosa devi e non devi fare... Quindi,piccola,come hai detto che ti chiami?"

Continuò. La pressione sui miei polsi aumentò,sentii il cuore saltare un battito,il petto faceva movimenti irregolari come il respiro.

"Emily.."risposi. "Tu?"

"Non sono cose che devono interessarti"

"Come ti chiami?" Insistetti.

"Niall,Niall Horan. Ma penso che tu abbia già sentito parlare di me"

Si,la risposta era si. Strinsi gli occhi cercando di ricordare,era lui il biondino nella foto segnaletica. Era lui il ragazzo dall'aspetto angelico. Era lui il pazzo. Annuii e sentii la sua presa diminuire,rimase davanti a me mentre il contatto dei nostri occhi non cessava,ma io,incapace di sostenerlo,distolsi lo sguardo. Sentii la sua mano prendere il mio viso,costringendomi a guardarlo.

"Prima regola:non scappare."

"Perchè non dovrei?" Chiesi cercando di dimostrare meno paura possibile.

"Meglio non sapere che ti potrà accadere" Mi rispose.

-

Il mio corpo era già distrutto entro poche ore,era quasi ora di pranzo e io non ero abituata a quello stile di vita,era difficile subire senza mai riprendersi e attaccare. Un'altro calcio,l'ultimo dopo aver cercato di uscire per prendere qualcosa da mangiare. Mi aveva picchiata,per la terza volta in un giorno.

'Pazzo: 1.Che mostra alterazioni nelle proprie capacità mentali;2.Chi si comporta in modo insensato,come se fosse fuori di sè.

Questa è la definizione di pazzo,ma lui non si trova in questa definizione,lui è molto di più. Lui è cattivo,rude,crudele e senza sentimenti. Cattivo nel modo in cui ti urla contro,rude nel modo in cui parla,crudele nel modo in cui si esprime e senza sentimenti nel modo in cui vede la tua sofferenza senza aiutarti. Provai a rialzarmi,ma caddi incapace di sostenere il mio peso. Lui era seduto davanti a me,mi osservava e sorrideva soddisfatto. "Bene,uno che si diverte a vedermi soffrire,di bene in meglio" pensai. Appoggiai la schiena al muro respirando faticosamente,portai le ginocchia al petto e vi affondai la faccia.

"Proverai ancora a scappare?" Mi chiese avvicinandosi.

"Non vincerai mai questa battaglia"

"Appunto,io vincerò la guerra stessa"

Prese il mio corpo e lo sdraio sulla panchina della vecchia Metro. Il suo zaino posato nell'angolo attirò la mia attenzione quando estrasse un telefono e premette alcuni tasti prima di portarlo all'orecchio. Attendemmo qualche secondo. Rimasi a guardarlo,ma mi spostai quando lui mi vide. Girai la testa rimanendo a guardare il soffitto grigiastro.

"Louis?..Si,ho un problema.. No,no,non si tratta di quello.. Devi portarmi qualcosa da mangiare.. Si,e anche dell'acqua ossigenata... Affari miei,portami questa roba e basta... Si,ok... Ciao"

Riattaccò e si diresse verso di me. Prese la mia mano e mi guardó,i suoi occhi. Cavolo,quegli occhi. Passammo un po' di tempo fermi lì a mantenere quel contatto che i nostri occhi non volevano far cessare. Nonostante i suoi occhi fossero perfetti, lui rimaneva sempre il pazzo di New York. Niall Horan che da 4 mesi stavano cercando.

"Forse è il caso di trovare un posto migliore dove stare" al sua voce irlandese ruppe il silenzio.

"Voglio tornare a casa,Niall... Ti prego" lo implorai.

"Non puoi da sola,ma se ti va possiamo andare insieme...è da un mese che sto qua dentro con Louis che mi porta da mangiare come se fossi un cane abbandonato,a casa tua staremo meglio"

"No" risposi.

"Come?"

Si voltò e ,di nuovo,per la quarta volta,mi picchiò. Uno schiaffo sulla guancia mi fece rialzare e mi fece rendere conto che la dolcezza del momento non c'era mai stata. Lui non era dolce. Perchè lo avevo pensato? Cazzo,quanto sono stupida! Stupida,stupida,stupida! Mi alzai dalla panchina e mi diressi verso l'uscita della Metro,a passo lento,con lui che con lo zaino mi seguiva. Prese il mio braccio e lo strinse di più quando mi voltai.

"Se scappi,giuro che non ti picchierò soltanto"

Mi disse in tono serio. Mi voltai e mi diressi verso casa,con gli occhiali da sole per coprire gli occhi,senza farci riconoscere. Ma possibile che nessuno notava che mi aveva picchiata?! Ero forse un fantasma?! Presi le chiavi e entrai in casa.

"Vado in cucina,ho fame"

Dissi liberandomi dalla sua presa. Poggiai le chiavi sul mobile del salotto e entrai nella cucina buttando il biglietto di mia madre nel secchio. Sentii la serratura di casa chiudersi:ci aveva chiusi dentro. Lui non sapeva che loro sarebbero tornati tra una settimana e quando lo avrebbero fatto ero sicura che mi avrebbero salvato o almeno lo speravo. Io e mia madre eravamo come amiche,ma lei a volte mi faceva arrabbiare più di chiunque altro,ma penso che tutte le mamme siano così. Lei mi aiutava a superare qualsiasi cosa,era anche molto amica di Rose e Jack. Jack... Mi mancava,mi mancava troppo. Se solo sapesse cosa mi stava succedendo allora mi avrebbe portata via,come fanno i principi con le principesse,i cavalieri con le dame di corte. Ma questa non era una fiaba nè una favola e sapevo per certo che non avrebbe avuto un lieto fine. Sentii il telefono squillare e corsi in sala per rispondere prima che lo facesse lui.

"Pronto?" Sentii le sue braccia circondarmi il bacino,il coltello che teneva in mano venne puntato al mio fianco.

"Parla di me e ti ammazzo...metti il vivavoce" mi sussurrò all'orecchio

"Sono mamma,tesoro...ho sentito una voce...c'è qualcuno lì con te?" Lui sorrise e avvicino il lato del coltello al mio fianco,sentii la lama fredda toccare la mia pelle. Se lei avesse detto che sarebbe tornata tra una settimana non riuscivo nemmeno ad immaginare che mi potesse fare.

"Ehm,si...è Jack" risposi con un filo di tristezza nella voce.

"Oh,posso parlarci? Sai,è da un po' che non ci vediamo e mi manca quel ragazzo!"

"No,mamma...scusa,ma deve andare via perchè domani abbiamo un test di matematica e dobbiamo studiare."

"Ah,ok...comunque tesoro io e tuo padre torniamo con qualche giorno di ritardo perchè abbiamo spostato il volo"

"Va bene,mamma come-"

Cercai di far durare la telefonata il più possibile per riuscire a farlo calmare,ma lui prese il telefono e riattaccò buttandolo sul divano.

"Ora sei davvero nei guai,piccola"

Sentii il coltello lacerare la mia pelle,portai una mano sul fianco sperando che togliesse quell'oggetto dal taglio,feci un verso di dolore quando tolse il coltellino tascabile dal mio fianco. Corsi per le scale seguita da lui,presi la maniglia del bagno,ma lui arrivò prima.

PSYCHOWhere stories live. Discover now