- Cap. 38

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"Dio mi liberi
dalla saggezza che non piange,
dalla filosofia che non ride,
dall'orgoglio che non s'inchina
davanti ad un bambino."
Khalil Gibran

POV ALLIE

Con passi leggeri supero il cancello della scuola, facendo scorrere lo sguardo sugli studenti affaticati e sollevandolo subito al cielo. È limpido, di un azzurro estraneo a Londra, quasi attraversato da chiare striature tali le scie degli aeroplani, privo di nuvole e sbuffi di vento, sereno come dice il meteo, forse felice.
Sorrido, abbagliata dai raggi del sole, con un sospiro abbasso la testa e cerco di mettere a fuoco il portone. Tutto appare luminoso per un attimo, poi, stropicciando gli occhi, riesco ad intravedere una figura avvicinarsi a me.
"Hey Allie! Come stai?"
John Garrett si è piazzato a pochi centimetri dalle mie scarpe, le braccia conserte e un sorriso obliquo sul volto.
Sollevo le spalle, infastidita dalla sua presenza e dalla strana espressione dei suoi occhi. Quasi imbarazzati, ma velati di rabbia e impazienza mi fissano insistenti.
"Bene-"
"Perché lo hai fatto?"
"Ho fatto cosa?" ripeto, presa da una improvvisa morsa allo stomaco.
"Lo sai bene." continua lui, inclinando la testa con una smorfia sofferente.
"Non avresti dovuto, meriti di meglio Allie..."
"Che cosa stai dicendo?" sobbalzo sul posto, sentendo un forte tremore alle mani e la forza mancare nelle gambe.
Garrett sospira, abbassa lo sguardo e fa per allontanarsi.
"Perdonami." mi sussurra all'orecchio quando mi passa accanto.
"Ma l'ho fatto per il tuo bene."
Resto impietrita sul posto, spaventata dalle sue parole e da quella tesa espressione. Varco la soglia, il passo instabile e le dita serrate attorno alla cinghia dello zaino.
Che cosa voleva dire?
Che cosa ha fatto per il mio bene?
Quasi non tento di trovare una risposta, confusa e sconvolta mi avvio per il corridoio, facendomi largo tra i ragazzi e correndo verso l'aula di filosofia.
La porta è chiusa, Robert non ha lezione alla prima ora. Con un colpo la spalanco e mi precipito dentro a rotta di collo.
"Robert!"
Lui è seduto alla cattedra, pallido e teso tiene tra le mani delle foto. Solleva lo sguardo verso di me e privo di espressione non mi risponde.
"Signorina Taylor, stavamo aspettando proprio lei... venga dentro."
Sobbalzo a quella frase; Veronica Peel, in piedi davanti ai banchi tiene le braccia incrociate e gli occhiali calati sul naso. Tira una smorfia crudele e mi fa cenno di avanzare.
Barcollo sul posto, trattenendo la borsa sulle spalle e infilando la mano in tasca.
"Forza, entri e chiuda la porta."
Ubbidisco, abbassando la maniglia e sentendo il mondo crollarmi sulle spalle. Downey non si sposta dalla sedia, abbassa solo lo sguardo e si porta una mano sugli occhi.
Raggiungo la fastidiosa figura della Peel, fermandomi a pochi metri e fissandola attraverso le lenti.
"Il professor Downey ha qualcosa da dirle signorina..." allunga il dito con fare meschino e quasi si mette in posa per assistere.
Guardo ancora Robert, lui solleva gli angoli delle labbra in un piccolo sorriso e si alza dalla seduta.
"Tu non hai alcuna colpa Allie, hai capito?" incrocia il mio sguardo e non lo molla per diversi secondi.
"Che cosa significa?" sento la voce tremare tra il palato e la lingua e il profondo desiderio di afferrargli la mano.
"Significa che il professore ha commesso un enorme sbaglio, Taylor..."
"Per favore." la interrompe subito Downey, afferra una foto di quelle sul tavolo e me la porge. Lo vedo esitare per un istante, il suo palmo trema visibilmente e le dita tengono strette lo scatto con foga.
Lo afferro impaziente, portandolo davanti agli occhi e trattenendo il fiato.
Siamo noi.
Io e Robert.
Stretti in un abbraccio nel parcheggio del supermercato, nascosti dietro la portiera aperta e con gli occhi chiusi. La mia figura tiene le braccia attorno alla vita dell'uomo, mentre lui, con le dita tra i miei capelli e la fronte sulla mia spalla, sembra riposare stanco.
Spalanco gli occhi, rammentando di colpo quel momento.
Avevamo incontrato la Peel al supermarket e lei, con sguardo torvo aveva intravisto il mio zaino e il mio blocco da disegno nel carrello di Downey: non aveva detto nulla, ma, sollevato stizzosa il capo, forse aveva iniziato a complottare contro di noi.
"Anche le altre..." continua lei, con voce stridula.
Robert la fulmina con gli occhi e copre le foto con il palmo.
"Non c'è bisogno, ha capito..."
"Voglio vederle!" esclamo, ormai senza fiato. Le parole mi muoiono in gola, producendo un vergognoso fischio e rimbombando nella stanza.
"No, Allie." mi getto contro Downey, tentando in ogni modo di allontanare il suo braccio e vedere gli scatti.
"Allie, Allie, per favore!"
Lui mi trattiene con la mano destra, lo spintono con violenza ma in nessun modo riesco ad allontanarlo dalla cattedra.
"Ho bisogno di vederle, Robert... ti prego..." continuo a supplicarlo con voce rotta, accorgendomi solo il quel momento della vista appannata: la sua camicia sfocata e le lacrime sulle guance.
"Ha il diritto di vederle, Downey." sentenzia freddamente la Peel.
"Non dire cazzate!" Robert le risponde con un ringhio, scopre i denti e quasi sembra pronto per attaccarla.
"Sembra che ti stia divertendo, Veronica..."
"Non sono io quella che ha fatto una sciocchezza."
Lei si dondola un poco sulle gambe, tirando le labbra in una sadica espressione e scuotendo il caschetto.
Approfitto del momento e gettandomi all'improvviso sulla scrivania riesco ad afferrare le immagini.
"Allie!" mi richiama ancora lui, strozzando la voce.
Mi allontano dalla cattedra e faccio scorrere lo sguardo sulle stampe: siamo ancora noi, costato mentre una lacrima bagna l'istantanea sfocando la figura, e siamo così belli, avvinghiati sul sedile dell'auto e avvolti dalla nostra euforia filosofia. Tengo la testa gettata all'indietro, il petto nudo quasi completamente visibile dal finestrino mentre lui, con la camicia sbottonata, bacia estasiato la linea del mio collo.
Trattengo un singulto, portandomi il palmo davanti alla bocca e sentendo le forze mancare.
"Chi- chi- chi le ha sc- scattate?" balbetto presa da un impeto angoscioso e disperato, mentre l'unica cosa che desidero è sprofondare nel pavimento e sparire per sempre.
"Non è importante." sentenzia la Peel.
"NON È IMPORTANTE?!" mi volto verso di lei con un urlo, gettando la foto a terra e avvicinandomi pericolosamente.
"Allie, ti prego." Robert mi afferra per un braccio, mi strattona circondandomi la vita.
"È stato Garrett vero?! E lei?! È stata lei a dirgli di farlo?"
Veronica Peel si sistema gli occhiali sul naso, poi dopo un lungo respiro ruota le pupille e mi guarda con sufficienza.
"Il signor Garrett mi ha espresso delle preoccupazioni nei suoi confronti, temeva per lei, la vedeva strana, e si è offerto di tenerla d'occhio, tutto qui."
"E ha iniziato a pedinarmi?!"
Downey mi strattona ancora, trasformando però quella stretta in un abbraccio quando infuriata scoppio a piangere.
"Stai tranquilla..." mi sorregge dolcemente, offrendomi così di appoggiarmi a lui per scaricare la tensione.
Ma quale tensione.
Il mondo è crollato e la Peel sembra divertita: è così pericoloso amare? È così difficile essere compresi? Perché tutti fraintendono e nessuno ascolta?
Eppure Robert mi ascoltava, lui capiva quando dicevo di sentire freddo, non mi ha dato una coperta per riscaldarmi, mi ha offerto il suo corpo, anche la sua anima magari e i lembi della sua filosofia.
E la Peel invece? Che cosa vede in quelle foto?
Non riesce a scorgere la poesia tra i nostri gesti, il senso della vita e il carpe diem più bello?
Non nota che eravamo felici?
"Mi auguro che sia stato un evento sporadico e che non ci sia una relazione di cui nessuno è a conoscenza..." dice ancora lei modulando la voce.
Downey non risponde ed io, scossa dai singhiozzi, mi rintano ancora di più contro il suo petto.
"Se crede di dover contattare le autorità faccia pure, io chiederò oggi stesso il trasferimento."
Sollevo la testa e lo fisso spaurita negli occhi.
"No..." sussurro piantando una mano sulla sua spalla.
Lui sorride teneramente e mi stupisco di come tenti in ogni modo di tranquillizzarmi.
"Credo che potremo risolvere la questione senza rendere pubblica la notizia e, come ben sai, infangare il nome della scuola, non credi sia meglio anche per te, Downey?"
Con la coda dell'occhio scorgo la prof prendere la sua borsa dai primi banchi e sistemarsi il cappotto.
Il sorriso muore lentamente sulle labbra di Robert, ma lui, con lo sguardo allacciato al mio, sembra sollevare leggermente le spalle prima che i suoi occhi divengano lucidi.
"Non lo so." dice spezzando la voce.
"Non mi interessa più nulla adesso."
Lei si avvia alla porta, prima di uscire però si rivolge a me e mi invita a seguirla.
"Taylor, suo padre sarà qui a momenti, vuole seguirmi in presidenza?"
"Perché mio padre..." gemo quasi supplicante.
"Perché lei è minorenne signorina e i suoi genitori devono essere informati."
La fisso senza vederla realmente e con le guance bagnate dalle lacrime.
Dio, che coraggio a farmi vedere così, tramante come una bambina e coperta di vergogna, eppure il petto mi esplode di rabbia mentre resto immobile sul posto, la mano stretta attorno al braccio di Robert e la sua figura accanto priva di espressione.
Perché la vita è così ostile verso di me?
Rifletto, dopo aver mollato la presa e raggiunto la Peel sulla porta.
Non può essere il caso, così cattivo e feroce o la natura innocentemente crudele. No, deve esserci qualcos'altro.
Forse è il buio che vedono i miei occhi o il gelo nelle mie ossa a tenere le redini del mio destino.

SPAZIO AUTRICE
...
Si, lo so. Sarete tutti incazzati neri.
E vi avverto.
I casini non sono finiti.

Mini

Philosophyحيث تعيش القصص. اكتشف الآن