- Cap. 21

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"Una delle maggior tragedie
dell'umanità è quella di
rimandare il momento
di cominciare
a vivere"
Orazio

POV ALLIE

Spalanco gli occhi di soprassalto, percependo delle lenzuola calde sul mio petto e un cuscino morbido sotto la testa. Il soffitto è sfocato, come il resto della stanza: lucida e vibrante sembra essere racchiusa in una palla di vetro, i miei sensi sono confusi e i rumori ovattati, persino la spalliera del letto e la sedia accanto al materasso sembra vibrare violentemente.
Sollevo la nuca, avvertendo una fastidiosa sensazione di nausea e continuando il movimento con cautela.
Una figura è sistemata sul divanetto sulla destra, tiene le braccia incrociate e la testa stanca reclinata da un lato, fino ad appoggiare la guancia sulla spalla possente e muscolosa. I capelli castani sono spettinati sulla fronte e la camicia stropicciata in vita.
Sussulto riconoscendo il professore addormentato davanti a me: una ruga fredda attraversa la sua fronte, distruggendogli il volto e affaticando i lineamenti.
Scuoto la testa cercando di scacciare i ricordi di ieri sera.
Che cosa ho fatto?
Che cosa diavolo hai fatto Allie, eh?
Vedo le sue labbra bagnate nel buio, le spalle larghe e lo sguardo euforico del professore.
Cazzo l'ho baciato, e non solo.
Penso, rammentando i movimenti del mio bacino sulla sua erezione, la mia mano audace sulla sua patta e la voglia di farlo mio.
O di essere sua. Non è questa la cosa importante. Me o lui, diavolo, per qualche istante eravamo stati la stessa cosa, fusa e calda, eccitata e ribollente.
Non vi era stato tempo di pensare al suo e al mio in quella folle stretta.
Sorrido con malizia, mentre le prime luci del mattino attraversano le tende.
Niente male Downey come quasi prima volta uh?
Faccio scorrere lo sguardo sulle sue cosce sode e al pensiero di aver attorcigliato le gambe attorno a quei fianchi un brivido mi attraversa la schiena.
Siede scomposto sul sedile, le gambe aperte, la schiena arcuata all'indietro e il sedere in avanti: resterei ad osservare quell'arrogante posizione e il suo petto mosso dai respiri per tutta la giornata.
Per tutta la vita anche.
Tanto non ho nulla da fare.

Lo vedo sussultare pochi istanti dopo, solleva la testa con uno scatto e spalanca gli occhi, come disturbato da un incubo.
"Allie? M- Mi ero addormentato scusa..." si stropiccia gli occhi e con una camminata audace raggiunge il mio letto.
"Sei svenuta ieri sera, e ti ho portato al pronto soccorso, ricordi?"
Annuisco, trovandomi a fissare i suoi lineamenti, desiderando di ricalcarli con il pollice.
"Ti ricordi quello che è successo? Ti ricordi tutto?"
Cazzo, e ora come ne esco.
Ovviamente rammento ogni cosa.
Penso, soffermandomi sulla sua espressione imbarazzata.
Mentire di non ricordare del bacio o ammettere la verità?
Come la prenderà Downey?
"Mi dispiace professore, non so cosa mi sia preso..."
"No, no..."
Lui mi interrompe, sollevando una mano e scuotendo la testa con un sorriso spento.
"È stata colpa mia. Avrei dovuto portarti subito qui, non eri in te."
Allunga il braccio e stringe la mia mano.
Entrambi sussultiamo a quel contatto, il professore serra gli occhi e lascia andare un sospiro.
Accarezzo il suo dorso, sentendo la pelle ruvida e calda sotto i polpastrelli, faccio scorrere le dita e le intreccio con le sue prendendolo di sorpresa.
"Perché mi sta aiutando?"
Sussurro, non riuscendo a trattenere la domanda.
Quando la mia filosofia aveva vibrato nessuno era giunto in mio soccorso, quando era caduta nessuno l'aveva raccolta, persino quando si era strappata in due, allontanando i principi e i valori, nessuno si era sognato di prendere ago e filo per ricucirla.
E adesso, ora che i due frammenti si sono persi nel buio della notte, arriva lui, con quella falcata arrogante e il ciuffo scomposto, i libri sotto braccio e la postura elegante, per cercarli.
Come un'apparizione divina, il numero perfetto di Pitagora o l'essere finito di Parmenide.
"Perché voglio insegnarti la differenza tra essere un esperto di filosofia ed essere un filosofo..."
"Conosco la differenza!" esclamo aggiustando la schiena sul cuscino ed alzando la testa.
Lui inclina la testa di lato, con un sorrisetto dubbioso, invitandomi a continuare.
"Un esperto di filosofia è limitato, è colui che ha studiato molto ma non va più in là di ciò che legge sui libri, un filosofo invece mette in pratica le sue conoscenze."
Annuisce sornione.
"E tu cosa vuoi essere?"
"Un filosofo." rispondo senza alcuna esitazione.
"Allora dovrò insegnarti a diventarlo, non credi?"
Sorridiamo entrambi, soddisfatti e divertiti, una vena di ottimismo mi avvolge seduta in quel letto davanti a lui, la sua mano tra le mie e il suo viso incredibilmente vicino.
"Ho paura di aver smarrito la mia filosofia professore, quale filosofo potrò mai essere..."
"Hey, non temere, io conosco il pensiero dell'uomo e condivido i suoi interrogativi, se lo desideri potrò aiutarti a trovare una filosofia nuova..."
Solleva il labbro dolcemente.
"Buttiamo via il vecchio e dedichiamoci al nuovo, ok?"
Annuisco, ma forse, mi rendo conto, sarei d'accordo con lui anche se mi proponesse di gettarmi da un ponte: rapita da quello sguardo non riesco a pensare a niente.

"Stai bene? Hai bisogno di qualcosa?"
Downey mi osserva preoccupato: si è sistemato sul bordo del materasso e sembra far difficoltà a restare diritto.
Ha gli occhi gonfi e stanchi e una espressione assonnata dipinta sul volto.
Al pensiero che sia rimasto sveglio per me una sensazione di calore invade il mio petto.
"Tutto ok, adesso mi sento meglio."
rispondo imbarazzata, inclinando la testa e sfuggendo lo sguardo.
"Lei invece sembra stanco, perché non riposa un po'?"
Scuote la testa, rafforzando la presa sulla mia mano.
"Dormirò un po' a casa dopo, ho chiamato la scuola, non mi presenterò oggi a lavoro..."
"Perché?" domando, forse ingenuamente.
"Per stare con te no? Ti dimetteranno tra poco, devo accompagnarti a casa."
La parola 'casa' sembra risvegliare sensazioni nascoste: un freddo abbandono e il senso di incompletezza.
Serro le labbra, spostando i gomiti e voltando la testa.
"Che cosa c'è?"
"Niente è solo che..."
Deglutisco, vergognandomi all'improvviso della mia stessa voce.
"Non- Non ho un posto dove andare...
Non ho una casa professore..." concludo con un singhiozzo, mentre della pioggia fluida mi bagna il viso.
"Hey, non piangere, sì che hai un posto dove andare..."
Un 'qualche posto'.
Qualche posto per me.
"Vieni con me, a casa mia. L'appartamento è piuttosto piccolo ma può andare no? Almeno come sistemazione temporanea..."
Mi fissa, quasi temendo un rifiuto.
"Cercherò di occuparmi di te, Allie."
Spalanco la bocca in un ampio sorriso e Downey subito mi imita illuminando gli occhi.
Il profumo del qualche posto aromatizzato al tabacco e cuoio riempie le mie narici, sento le guance arrossire e stringo soddisfatta i lembi delle lenzuola.
Immagino la libreria piena di volumi e il corridoio in penombra, la luce fioca della sua stanza e il letto morbido.
Non vedo l'ora che sia notte professore.

SPAZIO AUTRICE
EEEHH
CHI NON VEDE L'ORA CHE VENGA SERA PER QUESTI DUE?!
IOOOO
A presto
Minea

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