12. Un fulmine a ciel sereno

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Mattia mi solletica con le sue dita sulla pancia e io rido così tanto che mi manca quasi l'ossigeno.

«Ti arrendi?» mi chiede, continuando il suo assedio.

«Mi arrendo» balbetto tra una risata e l'altra.

Lui si discosta e solleva le mie gambe per sedersi. Ha un'espressione rilassata, però noto i muscoli contratti della sua mascella.

«Matti, è tutto ok?»

Lui si volta verso di me prima di scostarsi il ciuffo dalla fronte. «Sì, non preoccuparti. Gli allenamenti, lo studio e le uscite mi stanno sfinendo» mi confida, poggiando il capo sul bordo superiore del divano.

«Sicuro sia solo questo?» gli chiedo insistente.

Lancia uno sguardo esitante verso la porta della cucina, ma poi decide di parlare. «Ho avuto una discussione con Sara ieri sera.»

«Le incomprensioni capitano a tutti. Vuoi raccontarmi cosa è successo?»

Mi osserva con un'espressione triste che mi stringe il cuore. Se Sara dovesse farlo soffrire sul serio, la cercherei in ogni angolo della terra.

«Magari più avanti» sussurra, guardandosi le mani.

Lo scruto per qualche istante, indecisa o meno se insistere sull'argomento. Non è mai stato un ragazzo propenso a confidarsi con gli altri, ma sono sicura che mi chiederebbe aiuto se avesse davvero bisogno di me e io non esiterei ad aiutarlo.

Gli devo tutto.

*

Tamburello il volante dell'auto con le mani che mi tremano per il nervosismo. Osservo il palazzo bianco in cui abita l'amico di Elia per la centesima volta, indecisa se scendere dalla macchina o meno, mentre l'orologio del cellulare segna le nove e un quarto: è già da mezz'ora che sono qui.

Oggi pomeriggio Elia mi ha mandato un messaggio con l'indirizzo di casa e il cognome del proprietario visto che gli ho espressamente detto di non venirmi a prendere. Non volevo che mia madre o Mattia lo vedessero, ma, soprattutto, non volevo rimanere sola con lui.

Appoggio la fronte sul finestrino mentre tento di eliminare tutti i pensieri che mi assillano la mente. Mi aggrappo all'immagine di Elia che poggia le labbra sulle mie in modo dolce per convincermi a scendere dalla macchina. Qualunque sarà la mia decisione, devo guardarlo negli occhi. Se lo merita.

Mi avvio verso il portone principale di ingresso e suono il citofono. Gioco inquieta con la cinghia della borsetta e aspetto che qualcuno risponda.

Dopo pochi minuti, sento una voce maschile che mi dice di salire al terzo piano senza chiedermi neanche il nome.

Salgo le scale e quando giungo al pianerottolo capisco subito qual è l'appartamento, grazie al suono diffuso della musica che si sente provenire dall'interno. La porta è leggermente socchiusa, però suono comunque il campanello.

Trascorrono alcuni secondi prima che compaia un ragazzo alto con i capelli biondi. «Ciao, io sono Marco. Tu dovresti essere Carla» afferma mentre mi scruta attentamente.

Alzo il sopracciglio. «Sì, sono io. Come fai a saperlo?»

«Conosco tutti gli altri invitati, quindi per esclusione devi essere per forza tu. Entra, Elia ti sta aspettando.» Si scosta dalla porta e mi indica l'appartamento.

Gli rivolgo un sorriso incerto e lo supero con passo insicuro. Non mi sento molto a mio agio a stare con gente che non ho mai visto in vita mia.

Sulla mia destra c'è un salottino con circa una trentina di persone, ma non vedo Elia da nessuna parte. Varco la soglia ugualmente e vado verso il tavolo delle bevande: ho bisogno d'acqua. Prendo un bicchiere di plastica e verso il liquido, guardandomi intorno con attenzione. Ci sono delle persone che ballano e altre, invece, stanno attorno al tavolo in fondo alla stanza con diversi mazzi di carte sulla tovaglia verde.

Divisa a metàWhere stories live. Discover now