26. Non sono forte abbastanza

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Damiano

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Damiano.

Non ero riuscito a chiudere occhio tutta la notte. La mia esibizione era andata meglio di come mi aspettassi e nella mia testa potevo ancora sentire rimbombare gli applausi, che gratificavano la mia passione più grande.

Avevo avuto anche il piacere di avere degli ospiti d'onore. Cantare davanti Ginevra e Totò che consideravo, ormai, come un fratello minore, mi rese ancora più euforico di quanto non fossi già tutte le volte che prendevo in mano la mia chitarra e tiravo fuori la parte di me più nascosta.

Era la parte logorata e malridotta da una vita non troppo fortunata, ma allo stesso tempo era la stessa dalla quale nascevano tutte le mie canzoni.

Ginevra.

Lei era stata una meravigliosa e fastidiosissima scoperta.

Meravigliosa perché tutto di lei era bellissimo: i suoi capelli ramati, le sue piccole lentiggini sparse su tutto il viso, la sua risata. Proprio quest'ultima mi aveva riempito il cuore durante la nostra breve chiacchierata, dopo il concerto.

Ma era soprattutto fastidiosissima, perché a causa sua non ero riuscito a dormire e ora mi ritrovavo due occhiaie nere e profonde.

Avevo sentito tutto.

La sera prima, dopo averla vista scappare in quel modo, l'avevo seguita e avevo assistito a tutta la scena.

Lei che rinfacciava a Totò la sua relazione con Aurora.

Lui che si colpevolizzava.

Lei che gli rivelava di essere incinta.

Loro abbracciati che cercavano di trovare soluzioni affrettate al problema.

Restare incinta a diciassette anni, di un bastardo cosmico per giunta, di certo poteva definirsi un problema.

"Esiste anche l'adozione".

E io lo sapevo bene. Conoscevo alla perfezione quella parola e dopo averla sentita mi ero allontanato, prima che potessero accorgersi di me.

Non volevo pensare alle sorti di quel bambino. Non volevo immaginare la vita che avrebbe avuto. Non volevo immergermi in ricordi troppi dolorosi.

Magari avrebbe fatto una fine migliore della mia, avrebbe trovato una famiglia adatta a lui e che non si fosse stancata di averlo tra i piedi alla prima occasione. 

Adesso mi rigiravo sul letto, senza riuscire a darmi pace. Continuavo a immaginarmi Ginevra con il pancione e poi con un bambino tra le braccia.

Quei pensieri mi fecero mancare il respiro. Decisi che era arrivato il momento di alzarsi, per smetterla con quei sogni assurdi.

Uscii dalla mia stanza, trascinandomi come uno zombie per tutto il salotto, fino ad abbandonarmi del tutto sul divano. Come se fosse servito a qualcosa quel cambio di stanza. 

La Guerra tra di NoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora