36. Incubo a occhi aperti

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Aurora

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Aurora.

Maggio era arrivato in un battito di ciglia, e nell'aria vibrava forte l'eccitazione per quelli che erano i cinque giorni più attesi di sempre.

Il viaggio del quinto anno.

Il culmine di un percorso scolastico che segnava le vite di ogni adolescente. Gli anni del liceo erano quelli che forgiavano il carattere, quelli che ci trasformavano da bambini delle medie a degli pseudo adulti, quasi pronti per avere delle responsabilità.

La mia relazione con Totò continuava in segreto, tra un bacio rubato durante la ricreazione, le notti di fuoco in camera sua, e quegli sguardi veloci che ci dedicavamo tutte le volte che Samuel era distratto.

Le sedute con lo psicologo lo stavano, a poco a poco, facendo diventare un'altra persona. Sembrava quasi tornato ad essere il bambino che tanti anni prima mi aveva invitata a giocare con lui.

Eravamo il principe e la principessa del castello più maestoso di tutti i reami.

Ancora, però, non potevano regnare insieme. Lei era rinchiusa in una torre di pietra, sorvegliata da un enorme drago feroce e sputafuoco. Era stanca di non poter vivere appieno tutto quel sentimento smisurato per il principe, ma lui ogni volta che provava a salvarla svegliava il drago, che solo con uno sguardo riusciva a spaventare il ragazzo. 

La paura per il drago poteva davvero ostacolare per sempre la loro storia d'amore?

Purtroppo sì.

In quei due mesi non era cambiato quasi nulla, se non la voglia di stare con lui alla luce del sole che si faceva sempre più impetuosa dentro di me.

Il giorno della partenza per Londra mi sentivo nervosa. Ero certa di aver dimenticato qualcosa, e durante tutto il tragitto verso l'aeroporto continuavo a sbuffare, ripetendo ad alta voce la lista di tutte le cose che avevo messo in valigia e che mi sarebbero servite durante il viaggio.

«...spazzolino, profumo piccolo, giacca in pelle, perizo-» mi bloccai. Sperai che mio padre non avesse sentito quello che stavo dicendo, ma quando alzai il viso dalle mie mani, dove stavo tenendo il conto, incrociai il suo viso paonazzo. 

Aveva un sopracciglio alzato, e abbassò il cellulare che teneva premuto contro l'orecchio.

«Ehm, sono quelli di Ginevra... sai, lei soffre di un'allergia al materiale delle classiche mutande, meno stoffa c'è e più sta comoda...»

«Va bene così, preferisco fare finta di non aver sentito...» diede un colpo di tosse per mettere fine all'imbarazzo che si era creato, e rise.

Lo seguii a ruota in quella risata che calmò, in parte, la mia ansia da pre-partenza.

Mio padre aveva messo in secondo piano tutti i suoi impegni lavorativi solo per accompagnarmi in aeroporto, e l'abbraccio che mi diede prima di salutarmi, una volta arrivati, mi aveva scaldato il cuore. 

La Guerra tra di NoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora