-Ventunesimo-

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Se il sogno era stato un successo, il mega-messaggio iride fu un fiasco.
Non riuscimmo nemmeno a trasmetterlo ad un romano, figuriamoci ad un intero esercito.

«Credo abbiano qualche barriera o cose così. Forse L'Aquila della Legione tiene lontane le magie greche» disse un figlio di Ecate pigiando tasti di una delle varie console sotto lo schermo.

«Non importa» risposi io. «Li abbiamo spaventati e questo basta. Quando arriveranno qui -se arriveranno qui- io mi farò trovare in bella vista, in modo che tutti riescano a riconoscermi. Se ci va bene questo seminerá un po' di panico e avremo un minimo di vantaggio»

I ragazzi annuirono.
Qualcuno sbadigliò, esausto.
«Tornate a dormire» concessi. «Presto ci sarà una guerra e di tempo per riposare non ne avremo»

Mentre tornavo alla mia cabina, osservai le difese del campo.
Le trireme nella baia, le catapulte cariche, alcuni ragazzi in armatura che giravano per il campo.

Persino Chirone si stava mettendo in assetto da guerra. Nel Bunker metà della Casa Nove in quel preciso momento stava lavorando ad armature e tute protettive per tutti i semidei.

Quando l'altra metà si fosse svegliata, si sarebbero dati il cambio. Andava avanti così da ormai una settimana o poco meno e i ragazzi cominciavano ad essere tutti tesi.

Trappole e armi ci circondavano da qualsiasi parti, quella che un tempo era casa nostra stava diventando un campo minato, pronto ad esplodere scatenando una battaglia parecchio svantaggiosa per noi.

I greci non avevano un esercito.
Non avevamo nemmeno più Percy Jackson, il grande eroe, o Annabeth Chase, la mente più geniale di sempre.

E neanche Jason Grace, la saetta vivente, o Piper McLean con la sua lingua ammaliatrice.
E sopratutto non avevamo mio fratello, Leo Valdez, la torcia umana.

Avevano me.
Lì dentro, oltre a Clarisse, ero forse l'unica che avrebbe potuto intimorire l'esercito romano.
E questa cosa non mi piaceva.

Volevo sapere come stava mio fratello.
Da quando era partito l'avevo sentito una sola volta e mi era sembrato stanco morto. Era appena salpato da Bologna e mi aveva detto che aveva mandato un "regalino" ai romani.

Non sapevo cosa intendesse, ma la Legione aveva ritardato l'avanzata e io avevo ringraziato gli dei, pregandoli di aiutare quel benedetto ragazzo e la sua nave.

Ma decisi che era il momento di placare i pensieri e dormire, così mi sdraiai a letto e chiusi gli occhi, cadendo subito in un incubo.

Vedevo due ragazzi moribondi camminare su un terreno arido e ostile. Quel posto mi dava i brividi e non ci misi molto a capire che doveva essere qualche oscuro abisso degli Inferi.

Mi chiesi cosa ci facessero due semidei lì dentro.
Il sogno si avvicinò e cominciai a distinguere le magliette arancioni del Campo.

Il panico iniziò a insidiarsi dentro di me. Noi non avevamo perso ragazzi, il che voleva dire che quei due dovevano per forza essere dei sette.

"Ti prego, padre, fa che non sia mi hermanito".
Sapevo che non era una bella cosa augurare ad altri di essere in quel postaccio, ma non potevo sopportare l'idea che quello fosse Leo.

Il sogno si avvicinò ancora di più e io vidi più chiaramente i due ragazzi.
Un maschio e una femmina, ma non avrei saputo dire chi.

Poi la voce rimbombò nella mia testa.
«Un tempio di Ermes, nel Tartaro?»

Il mondo mi crollò addosso.
Quella era la voce di Percy e la ragazza al suo fianco era senza dubbio Annabeth.
E quel posto da brividi era il Tartaro.

Mi svegliai con le lacrime agli occhi e mi accorsi che il caos regnava ovunque.
Mi asciugai gli occhi e uscii dalla cabina senza dire nulla.
Dovevo trovare Chirone.

Il centauro era in piedi in mezzo alla mensa, con un'espressione che non mi piacque per nulla. Vicino a lui c'era Rachel, l'Oracolo.

Corsi verso di loro e vidi Rachel guardarmi come se si aspettasse di vedermi arrivare.
«Percy e Annabeth...»

«...sono nel Tartaro.» concluse lei, alzando un tovagliolo di carta. «Lo sappiamo»

Il mondo non poteva diventare un posto peggiore. Stavamo perdendo tutto e tutti.
Rachel mi passò il tovagliolo e io lessi il messaggio.

Quella era senza ombra di dubbio la calligrafia di Annabeth.
Il messaggio mi inquietò e non poco, ma avevo altro per la testa.

«Cosa facciamo?»
Chirone guardò verso le cabine.
«Nulla, purtroppo» rispose. «Il mondo sta cadendo. Gea si sta svegliando. Dobbiamo prepararci alla guerra, che sia contro i romani o al fianco di essi.»

Non credevo che i romani avrebbero combattuto insieme a noi.
Tutto stava andando male.
Facevamo un passo avanti e un metro di pavimento si sgretolava dietro di noi, sempre più vicino.

||La Figlia Del Fuoco|| Completa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora