-Quarto-

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Quando mi svegliai ero stesa in un prato ed era giorno. Un ragazzo era chinato sopra di me e mi guardava probabilmente cercando di capire se fossi viva o meno.

Quando aprii gli occhi si allontanò leggermente, girando la testa verso qualcuno che doveva essere più distante.
«È viva»

Avevo un gran mal di testa e mi sentivo sporca e appiccicosa.
Non esattamente il modo migliore per svegliarsi.

Tentai di alzarmi ma il ragazzo mi mise una mano davanti, bloccandomi «wo wo, resta sdraiata. Non vorrei che morissi dopo essere scampata a...qualunque cosa tu sia scampata»

Non capivo cosa volesse dire ma non mi dispiaceva per niente rimanere sdraiata a terra, magari chiudere gli occhi...
No. Leo.

Saltai su a sedere e per poco non svenni. Il ragazzo se ne accorse e tentò di parlare ma non lo lasciai nemmeno iniziare.

«Dov'è mi hermanito?»
Mi resi conto di aver parlato spagnolo, ma sorprendentemente il ragazzo sembrava aver capito alla perfezione.

«Fratello? Sei arrivata solo tu»

La testa mi girava fortissimo, così mi stesi di nuovo.
«Cosa vuol dire che sono arrivata?» chiesi senza capire.

In quel momento un secondo ragazzo arrivò con in mano qualcosa che sembrava cioccolato dorato.

Ambrosia.

Mi chiesi come facevo a saperlo, ma non vedevo l'ora di metterlo sotto i denti.

«Vuol dire che sei praticamente piovuta giù dal cielo» disse il nuovo arrivato sedendosi a gambe incrociate di fianco alla mia testa e sollevandomi quel tanto che bastava per farmi mangiare.

Io lo guardavo con la fronte corrugata, ma non mi diede il tempo di ribattere. Mi infilò un quadratino di Ambrosia -qualunque cosa fosse- in bocca.

Per poco non svenni. O non piansi. O entrambe le cose.

Quella roba aveva lo stesso gusto dei tacos che preparava Leo quando mamma restava fuori tutto il giorno.
Avrei voluto scoppiare a piangere, invece mandai giù.

«Ti ricordi cosa è successo prima che svenissi?» mi chiese il ragazzo che avevo visto appena sveglia, mentre l'altro si alzava e spariva dalla mia visuale.

Nel frattempo mi ero messa a sedere.
Come terminò quella domanda scoppiai in lacrime.

Era la prima volta che piangevo da quando avevo un anno. Mi sentivo a pezzi come la macchinina che avevo costruito a Leo quando avevo sette anni.

Quel paragone mi fece piangere di più.
Il ragazzo rimase un secondo interdetto, poi mi abbracciò, lasciando che singhiozzassi contro la sua maglietta.

Era una maglietta arancione con un disegno che vedevo sfocato e delle scritte che non avevo voglia di leggere.

«Non fa niente» mi sussurrò mentre mi accarezzava i capelli «ora sei al sicuro. Sei viva

Già, io ero viva. Ma mamma no e il pensiero che anche Leo fosse morto...
no, lui era immune al fuoco come me, doveva essere sopravvissuto per forza.

Pregavo gli dei che fosse sopravvissuto.
Aspetta...gli dei?
Dovevo aver battuto la testa parecchio forte perché da quanto mi risultava nessuno era più politeista da almeno un millennio.

Finalmente smisi di piangere e mi staccai dal ragazzo, asciugandomi gli occhi con il dorso della mano.
Il ragazzo mi guardava con tenerezza e il fatto che il suo sguardo fosse posato su di me in quel modo mi metteva quasi in imbarazzo.

Sembrava quasi che stesse guardando un angelo.

Be, sono caduta giù dal cielo.

«Come...come sono arrivata qui?» chiesi tentando di concentrarmi su qualcosa di più concreto e più urgente.

Doveva prima capire dov'ero io se volevo scoprire se mio fratello era ancora vivo.

Il ragazzo fece un sorriso, sollevato di poter essermi utile «Beh, non so esattamente cosa ti abbia portato giù, ma ero qui a prendere un po' d'aria e ti ho visto cadere dal cielo»

Quella faccenda suonava sempre più assurda.
«Non dovrei essermi tipo sfracellata. Non ho nemmeno un livido» constatai guardandomi braccia e gambe. Il suo sorriso si fece più largo.

«Pensi davvero che lasci una ragazza schiantarsi al suolo?»

Era abbastanza evidente che lui mi avesse presa prima che toccassi terra. Per la prima volta da quando avevo aperto gli occhi mi soffermai a guardare il ragazzo.

Aveva sui tredici anni ed era biondo con gli occhi azzurri, un po' come il famoso "ragazzo ideale" di tutte le ragazze. Aveva anche una cicatrice, proprio sulla guancia. Non era brutto, ma io non ero il tipo da fidanzato, i ragazzi neanche mi parlavano.

E poi avevo dieci anni, chi ci pensava al ragazzo?

«Allora» cominciò lui «cosa sei esattamente? Se hai varcato i confini non dovresti essere mortale, però sei atterrata dal cielo quindi...»

«Immortale non lo sono di certo, ma mortale nemmeno» non so da dove mi venne, ma quelle parole avevano senso per me.

E sapevo dove mi trovavo. Tutto ciò cominciava a spaventarmi.
Il ragazzo sorrise «Sei un angelo? Sai, non mi risulterebbe difficile da credere...»

Mi squadrò con quegli occhi di ghiaccio e io capii che mi aveva appena detto che ero bella, con qualche giro di parole.

«Non sono un angelo» risposi «ma appartengo a questo posto»

Lui sembrò stupito «Davvero? Eppure non ti ho mai vist...» si bloccò, guardando sopra la mia testa.

Anche io alzai lo sguardo, volendo capire cosa aveva attirato la sua attenzione.

Un martello infuocato brillava sopra di me.

«Papà...» sussurrai e sentii che era così, mio padre mi aveva appena dato un segno.

Il ragazzo mi guardò con un sopracciglio inarcato.
«Lo sai?»

Fece una pausa e mi guardò quasi spaventato.
«Tu chi sei?»

«Lola Valdez, figlia del fuoco»

||La Figlia Del Fuoco|| Completa ||Where stories live. Discover now