29-TESSA

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Appena scesi dall' auto, i miei occhi si stagliarono sul Colosseo.

Avevo sempre amato l'antico anfiteatro, domandandomi ogni volta come doveva essere partecipare ad uno scontro tra gladiatori. C'era in gioco molto più della vita stessa, ovvero l'onore e il rispetto.

Non era forse quello che faceva ognuno di noi nella sua quotidianità?

Luciano aggirò la macchina e prese dal baule la mia valigia. Ero tornata, a casa.

Avevo i capelli raccolti nascosti da un enorme cappello nero e gli occhiali spessi mi coprivano gran parte del volto. Non volevo che qualche paparazzo mi riconoscesse, volevo solo fare la mia visita, ciò per cui ero effettivamente tornata e poi andare via, in Toscana, dai miei amici, da Andrea.

«Signorina da questa parte», disse Luciano portandomi in quella che un tempo era casa mia.

Entrai nel palazzo sentendomi un'estranea. Luciano mi mise sull'ascensore e poi arretrò.

«Luciano, ti prego non fare le scale, c'è posto per tutti e due», suggerii e lui, con una certa difficoltà, prese posto accanto a me.

Il viaggio in ascensore fu più lungo del solito. Sarei tornata alla mia vecchia vita, ai miei genitori e a tutto ciò che derivava.

«Stia tranquilla signorina, ci sarò io al suo fianco», mormorò e il mio sguardo si posò sul suo volto, rasserenato.

«Grazie.»

Le spesse porte di metallo si aprirono e io avanzai verso quella del mio appartamento. Ad accogliermi fu Gertrude, la domestica preferita di mia madre.

«Bentornata signorina», disse con aria saccente e io, infischiandomene, la oltrepassai.

Raggiunsi la mia stanza e mi gettai sul letto. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che ero stata lì.

Mi alzai sui gomiti e riflettei per qualche istante su come la mia vita si fosse evoluta in meglio.

Avevo praticamente smesso di fumare, dal momento che nessuno lo faceva mi ero accorta che non ne avevo realmente bisogno; a bere di meno e non avevo più fatto sesso da quella fatidica sera del party. Avrei voluto fare l'amore con Andrea ma non era possibile e questo non dipendeva solo dal fatto che era impegnato. Io proprio non potevo, non ancora comunque.

Una mano si posò sul mio addome e lo accarezzò sentendo un dolore sordo venire da dentro. Strinsi gli occhi per evitare di piangere. Forse, in fin dei conti, era stato meglio così. Qualcuno bussò ed entrò nella mia stanza senza il mio invito.

«Vedo che sei tornata», esordì glaciale mia madre.

«Si, devo fare la visita», le ricordai con voce incolore e lo sguardo fisso sul soffitto per evitare di commettere l'errore di posarlo su di lei.

«Bene. Ti ricordo che la visita ce l'hai domani pomeriggio, poi tornerai da dove sei venuta.»

Non ribattei, perché se fosse stato per me, sarei tornata là anche subito.

La sala d'aspetto era orrendamente bianca. Dal mobilio alla luce asettica tipica dei neon.

Non avevo mai capito per quale motivo un ambulatorio dovesse avere quei colori, probabilmente perché erano quelli che influivano di meno sull'umore delle persone, tuttavia lo trovavo triste. Certo, in un ambulatorio difficilmente si va per qualcosa di allegro, ma quello non faceva altro che ricordarmi il motivo per cui ero lì. Aprii la mia borsa nera, presi un libro che avevo da poco acquistato e lo lessi. Pochi attimi dopo, uscì la ginecologa chiamandomi. Entrai nello studio e mi sedetti alla scrivania.

Come il Faro nella Notte (5- The Lovers Series)Where stories live. Discover now