35.La partita della vita-EPILOGO

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"Alla mia famiglia, suppongo".

L'uomo si fece pensieroso. "Se dovessi scegliere una sola persona, chi sarebbe?".

Daniel rispose senza neanche pensarci. "Il mio ragazzo, Felipe". L'aveva visto sorridente in tribuna, durante gli allenamenti, e quando aveva segnato non aveva potuto evitare di voltarsi verso di lui e accennare un saluto.

Il giornalista assunse un'espressione stupita, poi lo congedò.

Quasi inconsapevolmente, Daniel aveva toccato un argomento considerato tabù nel calcio e lo aveva fatto con una tale naturalezza da lasciare tutti esterrefatti.

In un mondo in cui il calcio era considerato l'emblema della virilità, i giocatori omosessuali avevano sempre evitato di esplicitare la propria sessualità per timore di ricevere discriminazioni da parte del pubblico. Daniel l'aveva fatto con una genuinità innata ed aveva messo a tacere tutti. Per la prima volta, i media parlarono della notizia senza sollevare polemiche. Al pubblico interessava che fosse un giocatore pieno di passione per il suo sport, e non entrò in merito alla questione.

Certo, ci furono anche le solite voci fuori dal coro, quelli che gli si scagliarono contro, ma come recita un antico detto, la madre dei cretini è sempre incinta. Ci pensarono i sostenitori del diciottenne a difenderlo dalle angherie altrui, che ebbero breve durata.

Quell'avvenimento diede modo anche agli altri calciatori omosessuali (perché ce n'erano, poco ma sicuro), di sentirsi meno discriminati e timorosi.

Daniel non si era mai sentito così tanto amato come in quel momento.


Era ottobre, ma sembrava quasi che il tempo non se ne fosse accorto. Faceva ancora molto caldo, e Ryan non riusciva ad addormentarsi di nuovo. Era domenica, non aveva nulla da fare, e si era svegliato alle sette e mezza del mattino. Si girò su un fianco, le coperte seguirono i suoi movimenti.

Quasi invidiava Eric che, con infinita naturalezza, dormiva indisturbato, e avrebbe continuato a dormire almeno fino alle undici. Ryan non ci riusciva a dormire così tanto, pur volendo finiva sempre per svegliarsi all'improvviso e troppo presto per i suoi gusti. Non poteva farci nulla, purtroppo.

Si stiracchiò per allungare la schiena e far scrocchiare le braccia e le ginocchia; era una cosa che lo soddisfaceva enormemente, anche se sua madre continuava a ripetergli che non facesse affatto bene alle ossa.

Invece di tornare alla posizione precedentemente assunta, appoggiò una mano sulla guancia sbarbata di Eric, percependo il calore della sua pelle. Era così bello,con quell'espressione rilassata, le ciglia scure e folte abbassate, le labbra socchiuse e i capelli arruffati. Ryan a volte lo guardava e non riusciva a credere che fosse il suo ragazzo, suo e di nessun altro, da nove mesi.

Non erano stati giorni facili, un po' per la malattia, un po' per la paura di sbagliare, ma con Eric al suo fianco era risultato tutto più leggero. I sette anni di differenza non pesavano sulla vita di nessuno dei due, si sentivano giovani, sì, ma responsabili. Eric lavorava come un fatto, Ryan studiava per il suo ultimo anno di scuola, ma era bello ritrovarsi assieme a casa del maggiore ogni sera, dormire nello stesso letto, fare l'amore, parlare di tutto, mangiare i cibi più strani. Ormai il diciottenne passava pochissimo tempo a casa di Carol e Graham, quella sua e di Eric era una convivenza non esplicitata, forse perché Ryan era ancora tanto giovane, ma sapeva cosa volesse fare. E poi, se i soldi ci fossero stati, sarebbe partito per il college alla fine dell'anno scolastico. Avrebbe sempre potuto fare affidamento sul suo spazzolino appoggiato sul lavandino, proprio vicino a quello di Eric.

Accarezzò con il pollice la pelle glabra, perfetta, del suo ragazzo. Aveva il sonno pesante, non si sarebbe svegliato nemmeno con una cannonata. Gli sfiorò le labbra con le sue senza ricevere alcun riscontro, tossì, gli diede un pizzicotto sul dorso della mano, gli scosse la spalla con veemenza.

Più di quanto tu sappia ♦ Tematica Omosessuale ♦Where stories live. Discover now