26.Telefonate importanti

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Felipe si alzò dal letto, preso dal panico. Neanche riusciva a tenere il cellulare in mano, tanta era l'agitazione che l'aveva pervaso completamente. Lesse il testo della mail per una decina di volte, analizzando ogni parola, ogni frase, ogni concetto. Suo fratello l'aveva trovato. Anche lui ci aveva provato a cercarlo, ad informarsi, ma non gli era mai stato permesso di ricavare informazioni da documenti vari, sebbene sopratutto durante l'inizio della sua adolescenza l'avesse voluto ardentemente. Si era arreso quando gli erano stati imposti dei divieti specialmente dalla sua assistente sociale per preservare la privacy del fratello.


Felipe l'aveva odiata, aveva trovato l'intera situazione ingiusta, perché nessuno meritava di subire una separazione così drastica dalla sua famiglia. C'erano stati momenti della sua infanzia in cui si era sentito incredibilmente solo, nonostante avesse Carl e Line al suo fianco. Non gli mancava la sua vita nelle favelas, lì a New Cross era pieno di amici, giocattoli, viveva in una casa pulita ed andava a scuola. Ciò che gli mancava era suo fratello e i suoi cugini con i quali aveva passato i quattro anni più brutti della sua esistenza, ma con cui era riuscito a confortarsi nel sudiciume della loro baracca, sebbene avessero avuto tutti e quattro pochi anni di esperienza per sapere cosa fosse brutto e cosa bello nella vita. Eppure, loro lo sapevano benissimo.


Tornò a sedersi sul letto, abbandonando il cellulare ancora fermo su quell' e-mail che, ne era sicuro, gli avrebbe cambiato la vita. Non poteva essere uno scherzo, la fotografia che Tìago aveva allegato ne era la prova lampante. Lo scatto ritraeva un ragazzo di diciannove anni, la pelle ambrata come la sua, gli occhi verdi luminosi, i capelli castani, un po' più scuri dei suoi, la forma del viso leggermente più allungata, ma quegli occhi chiari proprio come i suoi. Non poteva che essere suo fratello, avevano lo stesso sangue, non si vedevano da quindici anni ma Felipe riconobbe immediatamente quelle iridi così simili alle sue, che l'avevano accompagnato nelle avventure peggiori della sua vita.

Sforzandosi, riusciva ancora a percepire la sensazione di freddo sulle piante dei piedi non appena era entrato nella bracca in cui viveva ed aveva visto i corpi dei suoi genitori giacere esanimi a terra. Flash nitidi di momenti confusi, delle mani di Vovò Julia che spingevano lui, Tìago e i loro cugini per strada, le urla di altri passanti, la confusione, poi la corsa a perdifiato fino all'orfanotrofio.

Osservò il cellulare, lo prese in mano, se lo girò tra le dita, poi lo sbloccò di nuovo.

Il testo della mail era lì davanti ai suoi occhi, lo rilesse ancora, poi esitò sul numero di cellulare indicato. Era arrivato il momento di prendere una decisione e non aveva intenzione di consultare l'opinione di nessuno.

Cosa avrebbe detto a suo fratello? Come avrebbe esordito? "Ciao, ho letto la mail, sono tuo fratello, quindici anni non sono poi così tanti per perdere di vista una persona".

Rimase per qualche minuto in contemplazione dello schermo del cellulare, poi prese una decisione, forse una delle più importanti mai fatte prima d'ora, e lo chiamò.

Mentre il telefono squillava fece un conto mentale delle ore di fuso orario che dividevano Parigi da Rio. In quel momento, in Brasile erano le sei e mezza di pomeriggio, un orario normale per ricevere una telefonata.

"Sim, quem fala?", rispose una voce squillante dopo qualche istante. Felipe sentì il cuore sprofondargli nello stomaco, aprì la bocca ma dalle sue labbra non uscì alcun suono. Quello dall'altra parte del telefono era suo fratello.

"Alò? C'è qualcuno?", chiese ancora, stavolta alzando un po' la voce. Felipe sentiva che a breve avrebbe attaccato e non poteva permetterselo, perché non sapeva se avrebbe avuto il coraggio necessario per chiamarlo di nuovo. Deglutì, cercando di attenuare l'ansia che lo pervadeva completamente.

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