14.Quasi una famiglia

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"Che cosa avete fatto tu e lui?!". Abigail era sconvolta.

Daniel le schiacciò il piede da sotto il tavolo, sbarrando gli occhi e facendole cenno di abbassare la voce. Erano seduti ad un tavolo del bar vicino alla sua vecchia scuola, quella che aveva lasciato da tre giorni. Adesso era chiusa, perché erano appena iniziate le vacanze di Natale, ma nel bar solitamente frequentato dagli studenti sembrava di essere in piena sessione di studi: quasi tutti i tavolini in legno lucido erano occupati da ragazzi intenti a leggere libri mentre sorseggiavano tazze di tè, caffè o cioccolata calda, proprio come stavano facendo i due giovani seduti in fondo alla stanza.

"Vi siete seriamente baciati?", formulò di nuovo la domanda, stavolta a bassa voce. Portò la tazza alle labbra truccate di rosso e bevve un sorso di tè.

Daniel annuì e riprese a raccontare per filo e per segno gli eventi dei due giorni passati, partendo dal bacio dato sulla soglia della porta di casa sua fino ad arrivare al pomeriggio che avevano passato assieme il giorno prima. La ragazza ascoltò rapita il racconto, emettendo gridolini e commentando con"quanto siete carini", e cose del genere.

"Ti giuro, non avrei mai pensato fosse gay", ammise. Daniel dovette trattenersi per non alzare gli occhi al cielo.

"Quante volte devo dirti che i gay non sono tutti fiorellini ed arcobaleni?". D'accordo, anche lui aveva inizialmente pensato che Lipe fosse etero, ma non per le stesse ragioni della sua migliore amica che sembrava affidarsi, come moltissima gente del resto, a insulsi stereotipi che ritraevano gli omosessuali come delle creature carine, delicate e gentili. Felipe era più che carino e molto gentile con lui, okay, ma secondo tutti non rientrava in quegli stereotipi. Il brasiliano rappresentava il classico belloccio sciupa-femmine, peccato che, fino a prova contraria, aveva baciato lui, che era un maschio,ripetutamente.

Abby fece un cenno vago con la mano ed accavallò le gambe senza smettere di guardare il suo amico, poi sorrise.

"Che hai da ridere?", chiese Daniel mettendosi subito sulla difensiva; con quella ragazza c'era da avere paura.

Abigail scosse la testa. "Si vede da come ne parli che sei felice".

Il giovane calciatore abbassò lo sguardo sul liquido scuro che riempiva per metà la sua tazza.

"Io, sì-spero che vada bene, però non voglio correre", ammise stringendo tra le mani la tazza calda. Non erano entrati nel locale da molto, quindi aveva ancora le dita fredde.

"Ci avete messo quasi due mesi per baciarvi di nuovo, direi che avete camminato anche troppo", gli fece notare la ragazza sollevando le sopracciglia sottili com'era solita fare quando sapeva di aver ragione. Sotto questo punto di vista, lei e Daniel erano incredibilmente simili: quando erano sicuri di aver ragione non c'era scampo per gli altri.

Il diciassettenne valutò l'affermazione dell'amica, arrivando alla conclusione che non gli importava di quanto tempo ci fosse voluto, perché quella mattina svegliarsi e trovare un messaggio del brasiliano che lo invitava a cena a casa sua, valeva più di qualsiasi attesa.

Ormai aveva imparato a convivere con quella sensazione che lo coinvolgeva non appena vedeva, o solo pensava a Felipe.


Felipe non era un ragazzo di temperamento ansioso, anzi affrontava solitamente le situazioni con tranquillità. Ai tempi del liceo era stato forse uno dei pochi studenti a non farsi prendere dal panico durante i test, ed aveva sempre conseguito buoni, non eccellenti, risultati. Tuttavia, quel tardo pomeriggio stava morendo dall'ansia. Aveva deciso di invitare Daniel a cena da lui, mettendo in conto anche il fatto che il diciassettenne avrebbe dovuto mangiare a tavola con i suoi genitori, ma improvvisamente si era accorto che forse fosse stata un'idea troppo affrettata.

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