XVIII

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Si guardano per un po' negli occhi

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Si guardano per un po' negli occhi.

Quelli di Raffaele sono di un azzurro glaciale e c'è qualcosa in essi a turbarlo.
È la stessa sensazione che ha provato nel guardare il Messicano, un'ansia mista a inquietudine.
Vittorio appoggia il palmo della mano su quella di Marco che stringe la sua gamba ed intreccia le loro dita.
Marco asseconda il gesto passandogli il pollice sulle nocche screpolate.

Raffaele studia i loro volti attentamente, non devono avere una bella cera; Marco sembra terrorizzato, mentre Vittorio è semplicemente preoccupato per la reazione dell'altro ragazzo. Vorrebbe andarsene.
"Era tanto che non ti vedevo", constata Raffaele, fermando il suo sguardo su Marco, che annuisce impercettibilmente.
"Un anno", sillaba soltanto.

"Già, un anno da quando sei uscito, come si stava lì dentro?", chiede. Vittorio non capisce di cosa stiano parlando ma preferisce non indagare, almeno non in quel momento. Ora l'attenzione del trio è concentrata sul ragazzo che siede al suo fianco e che non ha tolto la mano dalla sua coscia.

"Il cibo era decente", risponde. Il gruppetto davanti a loro ridacchia anche se il tono con cui Marco ha parlato non presenta tracce d'ironia.

"Non mi hai più cercato". Raffaele congiunge le mani sul tavolino ed assottiglia lo sguardo. Solo in quel momento Vittorio nota un tatuaggio sotto l'occhio destro, una piccola lacrima che prima era stata coperta dal ciuffo di capelli biondi.

Solitamente quel tatuaggio è sinonimo di aver ucciso una persona. Spera non sia così anche per Raffaele.

"Preferisco eliminà le persone sbagliate dalla mia vita".

Raffaele sembra colpito dall' intensità con cui Marco ha pronunciato quelle parole, raddrizza la schiena e si sporge verso di loro. Sposta lo sguardo su Vittorio e lo indica con un cenno della testa.

"Perché, secondo te stare con uno che ha un debito di ventimila euro con mio padre è giusto?".

Vittorio rimane frastornato dalla rivelazione appena fatta. Raffaele è il figlio del Messicano e Marco è stato con lui. Poi si sono lasciati, ma Marco dov'è stato fino ad un anno fa? Non ci sto capendo nulla.

"Qua nun se parla de giusto e sbajato, Raffaé", congiunge anche lui le mani sul tavolino, "qua se parla che nun me devi cagà 'r cazzo, ché è diverso", dice con tono tranquillo, ma Vittorio è abbastanza sicuro che a breve esploderà.

Raffaele si allontana un po' e appoggia le spalle sullo schienale dei divanetti.

"Presumo che niente sarà come prima, allora", dice. Non ha la calata romanesca, parla in modo neutro proprio come il padre. Guardandolo meglio, Vittorio si accorge della somiglianza impressionante tra i due. Il Messicano ha il volto solcato dalle rughe, mentre quello di Raffaele è giovane ed oggettivamente bello.

"Presumi bene, io mo'...mo' sò cambiato, vado a scuola e l'anno prossimo me metto a lavorà, basta giochetti pericolosi".

Il trio sghignazza, uno dei due ragazzi che non hanno parlato fino a quel momento gli ricorda che il lupo perde il pelo ma non il vizio.
" 'Sto detto m'ha leggermente rotto i cojoni...mo', se nun ve dispiace, noi due togliemo il disturbo". Si alza in piedi ed invita Vittorio a fare lo stesso con fare sbigativo. È fin troppo evidente il suo desiderio di essere altrove, magari a casa, o in qualsiasi posto che non sia lì.

Sotto il cielo di RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora