II

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Vittorio torna a casa alle sette e mezza di sera. Sbatte la porta d'ingresso ed entra in cucina dove sua sorella Silvia sta facendo le unghie ad una cliente. Nella stanza c'è puzza di smalto e il lampadario che pende sopra il tavolo non illumina a dovere l'ambiente, diffondendo una luce giallastra in tutta la stanza.

L'amica di sua sorella lo guarda interessata. Vittorio è un bel ragazzo, è coatto, come dicono a Roma, ma rimane pur sempre bello.
"Do' sei stato?", gli chiede Silvia.
"A scuola", risponde il diciottenne. Si attacca direttamente al collo della bottiglia e beve qualche sorso d'acqua.

"Ammazza oh, non lo sapevo che le lezioni durano dodici ore, quando ci andavo io dopo cinque ore scapocciavano pure i professori", insinua lei. 

Vittorio la ignora ed esce dalla stanza, chiudendosi in camera sua. Non è molto grande ma ci passa davvero poco tempo, lì dentro. All'età di quindici anni aveva scritto con una bomboletta spray alcune frasi sul muro adiacente al suo letto; dopo tre anni la vernice si è rovinata lasciando incrostata la parete.

Si accascia esausto sul letto senza sfilarsi le scarpe da ginnastica. Raggiunge il cellulare che ha abbandonato tra le coperte e lo stringe tra le dita, poi cerca un numero nella rubrica.

"Fratè, te stavo pe' chiamà!", esclama Giorgio dopo qualche squillo. Senza neanche dargli il tempo di rispondere, prosegue "stasera si va a San Lorenzo, ti passo a prendere alle nove e mezza. Tu che me volevi dì?".
Vittorio esita. Vuole chiedergli il cognome di Marco ma non ne ha il coraggio, non ora.

"Niente, ti racconto dopo, bella", lo saluta e conclude la chiamata. Giorgio è il suo migliore amico, ma non se la sente ancora di parlare.
Si alza dal letto e torna in cucina, dove Silvia sta concludendo il suo lavoro; la sua amica sfoggia dieci unghie appuntite e rosa che lo disgustano.
Sentono una chiave inserirsi nella toppa esterna della porta e poco dopo loro padre fa il suo desolante ingresso nell'appartamento. Solitamente non torna così presto, e Vittorio non può fare a meno di notarlo.

"T'hanno cacciato, Silvà? O ti sei accorto di aver rovinato una famiglia?", gli chiede.
Silvano è un uomo di cinquantatré anni caduto in una fossa di miseria dopo il suo licenziamento. Lavorava in una ditta edilizia che aveva subito tantissimi tagli del personale, o almeno questo era ciò che Vittorio sapeva . É stato licenziato cinque anni prima, ha cercato lavoro per un anno e poi si è arreso.

 Passa ore ed ore seduto davanti alle slot machines, ad aspettare il colpo di fortuna. Vittorio prova disgusto nel guardarlo, nel vedere i suoi azzurri così simili ai suoi contornati da occhiaie scure. Gli ha tolto tutto, la felicità ed un sacco di soldi. Non che prima del licenziamento navigassero nell'oro, ma la loro situazione economica non era poi così disastrosa.

"Statte zitto", borbotta l'uomo, dandogli uno spintone per spostarlo da davanti al frigorifero. Vittorio inspira e serra la mascella, ma lo sguardo implorante di sua sorella lo blocca. Non reagire. Non ora.
La cliente di Silvia si defila velocemente, scomparendo nell'androne delle scale e adesso potrebbe finalmente vendicarsi di tutto il male che suo padre sta causando a lui, a sua sorella e a sua madre, ma non lo fa. 

Dà un calcio al muro e torna in camera sua per cambiarsi e perdere un po' di tempo. Infila un cappellino con la visiera a becco e dei pantaloni della tuta, poi sceglie una felpa ed allaccia le scarpe. Manda un messaggio a Giorgio e lo avvisa che si sta avviando verso casa sua, e s'infila nel corridoio della metro poco affollato. A quell'ora i vagoni sono popolati per lo più da lavoratori che stanno facendo ritorno a casa, non ci sono turisti che ingombrano il passaggio con quegli zaini enormi. Sul display del veicolo trasmettono l'oroscopo ed una stupida pubblicità di un ristorante giapponese. Vittorio sa a memoria ogni fotogramma, eppure continua a guardarlo rapito per non pensare ad altro.

Sotto il cielo di RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora