XII

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Quando Vittorio esce di casa la mattina successiva sa bene cosa deve fare

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Quando Vittorio esce di casa la mattina successiva sa bene cosa deve fare. Quello che non sa è dove si trovi il Messicano, perché sì, ha deciso di fargli una visita giusto per capire che tipo sia, ma anche per mettere in chiaro un paio di cose. Non l'ha detto né a sua madre né a Giorgio.

Solo quando sale in metro si rende conto di aver fatto una cavolata, perché in caso gli succeda qualcosa nessuno saprà dove andarlo a cercare. Lo rincuora sapere che Giorgio conosca almeno metà della vicenda.
Sale sul penultimo vagone della metro come di consueto e scorge immediatamente Marco seduto proprio davanti alla porta, a gambe larghe e con le braccia incrociate al petto. Si posiziona davanti a lui sorreggendosi alla sbarra appena sopra la sua testa, e gli rivolge un saluto con la nuca.
"Manco lo zaino te sei portato, oggi", commenta col solito tono strascicato, tipico della parlata romana.
Vittorio scrolla le spalle. Gli deve dire che non possono saltare la scuola assieme.

"Ci ho delle cose da fare stamattina", borbotta. Evita di guardarlo, ricorda ancora le parole di Gabriele pronunciate la sera precedente: non ficcarlo nei casini, già ce ne ha avuti tanti in precedenza. Vittorio è abbastanza sicuro che recarsi assieme a lui a casa di uno dei capoclan romani più pericolosi rientri nella lista delle cose che non può permettersi di fare assieme a Marco.

"Ti accompagno", asserisce. I suoi occhi scuri lo guardano con insistenza.
"Non me sembra il caso, fidate". Vittorio indurisce la mascella ma non vuole intimidirlo. È nervoso, estremamente nervoso.

"E daje, nun ci ho niente da fa", adesso è una questione di principio, e Vittorio sa che sarà impossibile convincerlo a non seguirlo.

"Non è che sto andà a Mirabiliandia", sospira e si ferma per un momento, poi si avvicina piegando la schiena.

"Devo cercare il Messicano, non so se ce l'hai presente". Magari così Marco la smette di insistere e se ne sta zitto.
La sua reazione, però, va ben oltre il semplice stupore. Il giovane spalanca gli occhi, socchiude le labbra ed impallidisce. Appoggia la nuca contro il finestrino e lo guarda.

"Tu...tu lavori pe' lui?", mormora. Vittorio non si aspettava tutto quel timore. Nei suoi occhi castani percepisce la paura, la stessa che prova lui.
"No, no, ma che sei scemo", si affretta a dire. Marco annuisce lentamente, in attesa di chiarimenti. Vittorio sospira, si gratta la nuca.
"Mi' padre s'è giocato un po' di soldi e mo' stiamo inguaiati con lui", riassume brevemente, distogliendo lo sguardo da quello di Marco.

"Te accompagno", asserisce bruscamente.
"Ancora? Noneee, se devo finire nei guai tanto vale che vado da solo, perché già ci sto". La metro si ferma, le porte automatiche si aprono ed entra un po' di gente. Vittorio è costretto a fare un passo avanti, adesso i suoi stinchi sono premuti contro le ginocchia dell'altro ragazzo seduto.

"Io te posso aiutà, Vittò, perché già ci sono stato qualche anno fa, so come bisogna comportarsi e so dove sta lui e la sua banda", ammette con amarezza.

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