Capitolo 02.

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Convivenza forzata

La casetta in cui avevo scelto di stare era composta da un piccolo giardino e da un garage, che fino a quel momento, era rimasto vuoto.

Era disposta su un piano solo e aveva appena cinque stanze, della quale ne usavo al massimo due.

L'avevo scelta già ammobiliata con lo stretto indispensabile ma, soprattutto, perchè c'era una bellissima vasca da bagno con le zampe di leone. L'intera casa aveva mobili antichi, che mi davano l'impressione di essere tornata indietro di almeno cent'anni.

Per fortuna, tenevo le mie cose ben custodite, così non fui costretta a nascondere nulla; per abitudine, preferivo non lasciare nulla in bella vista, nemmeno la mia gemma che portavo sempre al collo.

Non mi separavo mai da quel gioiello dato che era stato, in parte, grazie a quello che ero diventata immortale. Non l'avevo mai mostrato a nessuno, nemmeno a Cam. Non volevo che sapesse la mia storia, avevo troppa paura delle conseguenze.

Oltretutto, nemmeno io conoscevo a pieno la potenzialità di quel gioiello che mi fu donato millenni fa.

Prima di entrare nella casa, proposi a Cam di posare la sua moto nel garage, dato che era vuoto, dandogli le chiavi per aprire l'enorme portone bianco, dopodichè mi raggiunse all'ingresso.

"Però, niente male" commentò lui, non appena varcò la soglia.

"Ti piace?" chiesi, curiosa di sapere cosa pensasse della mia scelta.

"Sì, mi ricorda una vecchia casa in cui ho vissuto più di cent'anni fa" ripose Cam, guardandosi bene attorno, esaminando ogni centimetro della sala in cui ci eravamo trovati una volta entrati.

Ispezionò il camino, toccò ogni mobile quasi con malinconia prima di chiedermi di mostrargli il resto della casa.

Gli mostrai la cucina, praticamente intonsa dal mio arrivo, il bagno e le due camere da letto.

"Puoi sistemarti qui, se vuoi" gli proposi, mostrandogli la stanza degli ospiti.

"Sì, non che abbiamo bisogno di un letto per dormire" afferma divertito, mentre entra per posare le sue borse sul letto matrimoniale presente al centro della stanza.

Era poco più piccola della mia, arredata come il resto della casa ma in modo del tutto anonima. Le pareti bianche donavano alla stanza una meravigliosa luce e la finestra posta al fondo, mostrava la fitta boscaglia dietro la casa.

"A me piace stendermi, ogni tanto" ribattei, ma subito mi pentì di quelle parole: un'altra cosa che Cam aveva imparato, nel corso dei secoli, era quella di avere la risposta sempre pronta.

Infatti, come a confermare i miei dubbi, mi si avvicinò con lentezza calcolata e con uno sguardo tra il divertito ed il malizioso. In un primo momento sostenni il suo sguardo, ma una volta che il suo viso si avvicinò al mio, strusciando la sua guancia contro la mia e sfiorando con le labbra il lobo del mio orecchio, lo distolsi quasi bruscamente spaventata da quell'improvvisa vicinanza.

Cam riavvicinò il mio volto al suo, con una mano teneva saldamente l'incavo del mio collo, come se volesse impedirmi di scappare, sfiorando delicatamente il punto in cui, millenni prima, mi aveva morsa.

"Io preferisco fare altro in un letto" mi sussurrò poi nell'orecchio e a me parve che il suo tono di voce, in quel momento, si fosse fatta più sensuale.

Scacciai la sua allusione e mi scostai, come se con quelle parole mi avesse bruciata. Portai una mano nel punto in cui mi aveva sfiorata e, nonostante le sue parole alludessero a tutt'altro, il ricordo di quel giorno mi pervase completamente.

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