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Prima ancora di riaprire gli occhi, avverto un rumore elettronico regolare abbastanza vicino al mio orecchio. Qualcuno poco distante sta parlottando a bassa voce e per questo non riesco a distinguerne né le parole, né gli interlocutori.
Sollevo piano le palpebre e strizzo gli occhi. Il mio sguardo si posa sui pannelli che rivestono un soffitto bianco sporco. Prima ancora di capire che sono nella stanza di un ospedale, la mia mente cerca di fare retromarcia a ciò che è successo prima e che mi ha portata qui, ma invano. I miei ricordi sono lacunosi e per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare niente da dopo il momento dello sparo.
Provo a mettermi seduta, ma un dolore lancinante al torace mi mozza il fiato e mi annebbia la vista. Un paio di mani mi spingono con fermezza le spalle, costringendomi a rimettermi in posizione supina.
Le mani appartengono ad una donna abbastanza giovane, che indossa un camice bianco e ha i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo. I suoi lineamenti mi appaiono sfuocati e sento che mi sta dicendo qualcosa, ma la sua voce è lontana e rimbomba nella mia testa come se fossimo sotto a una campana di vetro.
Alzo una mano per stropicciarmi gli occhi, ma il movimento mi viene impedito dalle flebo che si inseriscono nel mio braccio.
Mi sforzo di concentrarmi sul labiale della donna. Credo mi stia dicendo di stare ferma e riposare. Ora la sua attenzione è rivolta verso le altre persone presenti nella stanza. Strizzo gli occhi per metterle a fuoco e sorrido quando riconosco Reece, George e Luke.
«Ha bisogno di riposo, vi invito gentilmente a non rimanere per troppo tempo.» intima loro a voce bassa la dottoressa.
«No, state qui.» mormoro. La mia voce è rauca e devo schiarirla un paio di volte.
«Solo dieci minuti, non di più.» la donna mi ignora e continua a rivolgersi in tono fermo ai miei amici, che si limitano ad annuire.
Quando la dottoressa esce dalla stanza, Reece, George e Luke scattano in piedi contemporaneamente e fanno quasi ribaltare le seggiole arancioni di plastica sistemate a ridosso della parete in fondo.
Luke sembra sul punto di piangere dalla felicità e non fa altro che abbracciarmi e rivolgermi sorrisi a trentadue denti.
«Hai perso un sacco di sangue e a un certo punto sei diventata bianca come un lenzuolo.» prende a raccontare a raffica. «Sei caduta a terra e avevi il battito debolissimo e a quel punto mi stavo per sparare perché...»
«Frena, frena.» lo blocco con un sorriso.
«Non hai idea di quanta paura abbiamo avuto.» George mi dà un bacio sulla guancia e poi indica Luke. «Lui era fuori di testa. Quando abbiamo chiamato l'ambulanza, l'autista ha fatto venire la polizia perché pensava fosse sotto l'effetto di stupefacenti.»
«Non andrà in prigione, vero? Avete fatto in tempo a nascondere le prove?» chiedo preoccupata.
«Me ne sono occupato io.» si fa avanti Reece. «Puoi stare tranquilla, anche se Luke era in stato di shock non ha comunque aperto bocca con gli sbirri.»
«Bene.» mi lascio andare ad un sospiro di sollievo.
«Blake dov'è?» chiedo cercandolo con lo sguardo in fondo alla stanza.
Fra Reece, George e Luke cala un pesante silenzio imbarazzato. Si rivolgono uno sguardo eloquente che non riesco a decifrare.
«Non ricordi proprio niente di quello che è successo dopo che Luke ti ha sparato?» domanda Reece con estremo tatto.
Scuoto piano la testa. George guarda Reece e gli fa un cenno, poi distoglie lo sguardo da me e lo punta a terra. Reece si avvicina al mio letto e mi stringe una mano.
«Ti avevamo detto che c'era il cinquanta per cento di probabilità che Blake ce la facesse, ricordi?»
Annuisco di nuovo, mentre il mio cuore prende a battere più forte del dovuto e inizio a sudare. Sento che c'è qualcosa che non va, ma mi rifiuto categoricamente di dare ascolto al maligno presentimento che bussa alla porta della mia mente.
Reece rimane in silenzio e mi stringe più forte la mano.
«Lui... è qui in ospedale, non è così?» chiedo titubante con un filo di voce. La domanda risulta sciocca persino alle mie orecchie.
«Mi dispiace.» sussurra Reece. «Non sappiamo cosa sia successo con esattezza, ma ad un certo punto, quando siamo stati costretti a chiamare l'ambulanza perché il tuo battito era sempre più debole e stavi morendo dissanguata, il suo corpo ha iniziato a disintegrarsi. Trenta secondi dopo era come se Blake non fosse mai esistito.»
Gli occhi mi si riempiono di lacrime e una fitta mi pervade il petto. Apro la bocca per dire qualcosa, per urlare il mio dolore, ma non esce nessun suono. Non è possibile. Dopo tutto quello che ho passato, mi rifiuto di pensare di continuare a vivere senza Blake, senza colui che mi ha insegnato a combattere e che mi ha dato così tanto in così poco, senza colui che mi ha mostrato senza vergogna le sue debolezze e attraverso di esse mi ha insegnato ad apprezzare le mie.
Mi divincolo dalla stretta di Reece e provo a strappare via le flebo attaccate al mio braccio. Non posso vivere con la consapevolezza di aver ucciso Blake. Se non avessi accettato il piano, lui sarebbe rimasto uno spirito, ma in quanto tale avrebbe comunque continuato ad esistere. Ora invece l'unica cosa di Blake rimasta sulla Terra è la sua tomba di trent'anni fa. Non ci sarà nessun funerale per lui e nessuno, a parte noi quattro, saprà mai la vera storia riguardo la sua morte. Nessuno saprà mai che non è stato veramente mio nonno a ucciderlo, ma io, che mi definivo colei che poteva salvarlo. Io, che gli avevo promesso che ce l'avrei fatta, l'ho deluso, ho infranto la promessa e soprattutto, prima di lasciarlo non ho avuto il coraggio di dirgli niente. L'ultima cosa che mi rimane di lui è la conversazione della sera precedente sul prato dietro casa.
Mi guardo le dita con cui ho sfiorato il suo volto quarantotto ore fa, quelle stesse dita che hanno asciugato le sue lacrime e che ora sono macchiate del suo sangue.
Inizio a tremare come scossa da forti brividi e mi agito sul letto come una forsennata, tanto che Luke è costretto a chiamare la dottoressa di prima. Lei si precipita nella stanza e guarda infuriata i tre ragazzi, cacciandoli fuori e invitandoli a girarmi alla larga. Si avvicina poi a me con un ago poggiato su un vassoio di metallo e, mentre mi tiene il braccio bloccato contro il materasso del letto con fatica, mi conficca la punta nel braccio.

Oh my ghost// Blake Richardson New Hope ClubWhere stories live. Discover now