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Rimango seduta sulla panchina del parco per qualche ora. Quando mi rialzo per tornare a casa il sole sta già tramontando.
Non sono mai stata lasciata perché Dylan è stato il mio primo ragazzo e non so come gestire la situazione. Dovrei parlarne con lui? Eliminarlo completamente dalla mia vita? Toglierlo dagli amici di Facebook? Aspettarlo sotto casa con un'ascia? Non lo so. Per ora mi limito a rientrare in casa per cenare. Più tardi chiamerò Camila, la mia migliore amica, e le racconterò tutto. Sono sicura che in mezzo a tutte le puntate di Geordie Shore che ha guardato riuscirà a trovare il modo per risollevarmi l'umore.
Non appena rientro in casa, non posso non accorgermi del silenzio di tomba che regna. Un po' preoccupata mi reco in cucina, dove trovo mia madre e mio padre seduti al tavolo uno di fronte all'altra, ognuno con gli occhi rivolti verso lo schermo del proprio computer e intenti a battere velocemente sulla tastiera.
«Tesoro, la tua cena è in frigo.» mi informa mia madre senza salutarmi né distogliere lo sguardo dal pc.
«Ciao anche a te.» borbotto aprendo lo sportello del frigorifero e trovando un piatto sul piano. Al centro del piatto c'è il contenuto di una delle scatolette di carne di Conchi.
Apro la bocca per ribattere, ma la richiudo subito dopo. è inutile stare a discutere con i miei genitori: è come mettersi davanti a un sordomuto e raccontargli la storia della tua vita, aspettando poi un suo commento.
Con un fischio chiamo Conchi, che mi raggiunge in cucina trotterellando e si posiziona ai miei piedi, alzando lo sguardo verso il piatto che tengo in mano. O almeno presumo stia guardando quello, perché in realtà è talmente strabico che ha un occhio rivolto verso mia madre e uno verso il frigo. Tanto per chiarire, io sono in mezzo.
Appoggio il piatto per terra. Mentre Conchi con un colpo di reni si catapulta sulla carne e si abbuffa come un disperato sbuffando e ruttando, io cerco del formaggio e del pane con cui farmi un sandwich.
«Sei uscita con Dylan?» mi chiede mia madre ad un certo punto.
«Sì. Gli ho parlato della tua fantastica idea di mandarmi a marcire a Bristol per tre mesi.»
«Lo sai perché io e tuo padre lo abbiamo deciso.» Smette di scrivere al computer e si versa dell'acqua in un bicchiere che tiene lì a fianco. «Cosa ne pensa Dylan?»
«Mi ha lasciata e mi ha rovinato la settima stagione del Trono di Spade.» piagnucolo mordendo sconsolata il mio misero panino.
Per poco mia madre non rovescia l'acqua sul computer.
«Non può averlo fatto sul serio.» commenta seria.
«Te lo giuro. Mi ha detto che non sopporta l'idea di stare lontani per tre mesi, nonostante io gli abbia ripetuto che potremmo vederci nei fine settimana. Insomma, ha preferito lasciarmi adesso piuttosto di...» inizio a spiegare.
Mia madre mi blocca con un cenno della mano.
«Non mi riferivo a quello.»
Anche mio padre alza finalmente lo sguardo dallo schermo del suo computer e guarda mia madre fisso negli occhi per qualche istante. Dopo aver inspirato a fondo, si rivolge a me con estrema serietà e mi chiede:
«Non ti ha parlato di Jon Snow, vero?».

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Quando arrivo a pensare che i miei genitori siano più schizzati di me mi rivolgo alla mia migliore amica, Camila. Ci conosciamo dall'asilo ed è l'unica amica che non ho perso di vista dopo una manciata d'anni, come succede quasi sempre con tutti. Le invio un messaggio chiedendole se posso chiamarla. Aggiungo che è urgente. In attesa di una risposta, riordino distrattamente la scrivania. Non mi è mai piaciuta tanto, l'ho sempre trovata troppo piccola per reggere tutti i miei libro del liceo e il suo colore giallognolo non si abbina alle pareti azzurre della stanza. Mi sono sempre lamentata di volerla cambiare, ma alla fine mi sono ritrovata a studiare per gli esami finali lì sopra.
Nel frattempo finalmente Camila mi risponde, così cerco il suo numero nella rubrica e mi stendo sul letto, fissando il soffitto bianco e anonimo.
«Ciao Claire, che succede?» mi risponde urlando talmente forte che sono costretta ad allontanare il cellulare dall'orecchio. In sottofondo sento qualcuno parlare fitto fitto in spagnolo, poi qualcun altro scoppia a piangere.
«Sicura sia un buon momento?» domando incerta.
«Sì, sì, tranquila. È solo mia madre che sta sgridando mio fratello perché ha preso per i capelli un altro bambino.»
«Un po' aggressivo mi pare.»
«No, è che è pasional como nostra madre.»
Nonostante sia nata qui in Inghilterra, Camila si ostina a parlare mezzo spagnolo e mezzo inglese. Dice che è una cosa che affascina i ragazzi.
«Dylan oggi mi ha voluta vedere. Mi ha piantata.»
«Cosa? Perché?»
«Secondo lui è per la storia di Bristol, ma io inizio a pensare che sia solo una scusa e che abbia pensato di mollarmi già tempo fa.- sospiro.»
«Ecco, è sempre così: quelli brutti sono i più dolci e quelli belli sono i più gilipollas, quando non sono gay. Scusami un momento». Si rivolge alla madre e al fratellino in spagnolo. Non so cosa abbia detto loro, ma dal tono di voce alterato e spacca timpani escludo abbia appena espresso il suo affetto nei loro confronti.
«Cos'hai intenzione di fare ahora?» torna a rivolgersi a me in tono normale. Le voci in sottofondo si sono fatte più basse.
«Non lo so, speravo me lo potessi dire tu.» prendo a mordermi nervosamente una pellicina sull'indice.
«So che interrompere una relazione fa sempre male perché in fondo lasci una parte de ti en esta persona. Devi pensare però che adesso hai l'opportunità di andare a Bristol e magari conoscere gente nuova.»
«Dubito che avrò il tempo e la voglia di andare da sola in giro per locali in una città sconosciuta. Ti ricordo che i miei si aspettano che io rimetta a posto la casa.„
«Non sembri tanto contenta a proposito.»
«È solo che... non ne capisco il senso. So di non essere la persona più simpatica e intraprendente del pianeta, ma sono fatta così e non posso farci niente.»
«Se i tuoi genitori hanno deciso così significa che sono sicuri che riuscirai a fare qualcosa. Non sappiamo ancora che cosa e neppure come, ma qualcosa combinerai.»
«Vorrei solo che potessi venire anche tu.» aggiungo.
«Mi amor, sai che non posso mollare il lavoro al bar. Possiamo comunque tenerci in contatto via Skype.»
«Certo.» rispondo, un po' delusa da non so nemmeno io che cosa. Non posso di certo costringere Camila a dimettersi per venire con me a sbattere i tappeti impolverati di una vecchia casa fatiscente.
«Scusa ma devo lasciarti adesso. Mia madre ha finito con mio fratello e adesso deve parlare con me.»borbotta in fretta.
«Che hai combinato?»
«Penso abbia scoperto l'erba sotto al letto.»
Sento la madre di Camila ricominciare sbraitare.
«Merda, non era quello. Se non ti arrivano più miei messaggi, è perché mi ha mandato in riformatorio.»
Mi saluta in fretta prima di riattaccare. Abbandono il cellulare sul comodino e mi siedo alla scrivania. Accendo il computer, aggiorno il mio stato su Facebook, guardo qualche foto condivisa da Camila ultimamente. Lei in spiaggia con la sua nuova fiamma, un certo Kurt Pieters. Lei al centro commerciale con Kurt Pieters. Lei in una spa con Kurt Pieters. Lei in Scozia con le sue cugine. Guardo poi le mie uniche due foto: un autoscatto che è anche la mia foto profilo e un'immagine sfuocata che ritrae Conchi con un cappottino. Cancello quest'ultima e poi esco da Facebook.

Rimango a fissare per un po' la schermata bianca di Google. Sono indecisa se guardare Pretty Little Liars in streaming o il nuovo film di Zac Efron. Lancio un'occhiata all'orologio da parete. Non sono neanche le nove di sera, così opto per guardare entrambi.

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Quando riapro gli occhi, non capisco immediatamente dove mi trovo. Non mi sono nemmeno accorta di essermi addormentata stanotte, per questo rimango sorpresa in un primo momento nel ritrovarmi la faccia spiaccicata sulla tastiera del computer.
Sbadiglio e mi stiracchio. Spengo il computer e ciabatto giù in cucina per fare colazione. Sul tavolo trovo una busta di carta e un post-it giallo con una manciata di parole scritte in fretta.

"Ecco il tuo biglietto del treno. Prepara la valigia davanti alla porta. Fatti aiutare da papà. Baci, mamma."

Per un attimo provo l'istinto di stracciare la busta e il suo contenuto, perciò mi volto e mi concentro a preparare la colazione come se fossi una di quelle youtuber quattordicenni che vanno tanto di moda ultimamente.
«Buongiorno a tutti, oggi vi farò vedere come mi preparo al meglio per l'ennesima giornata di merda.» dico con convinzione come se ci fosse sul serio un pubblico ad ascoltarmi.
Dispongo sul tavolo il cartone del latte, la scatola di cereali al muesli di mia madre, uno yogurt bianco e un flacone di detersivo per i piatti.
«Per sentirvi belle e pulite dentro e fuori.» commento.
Abbandono tutto sul tavolo e mi prendo un pacchetto di biscotti. Non ho voglia di sistemare. Torno in camera strascicando i piedi, come se questo potesse rallentare le poche ore che mi separano da un treno con direzione Bristol.

Metto un po' di musica dal telefono e mi rassegno a prendere l'unica valigia che io abbia mai posseduto. Si trova ficcata in un angolo nella mensola più alta dell'armadio; per poco non mi cade in testa e per un attimo penso che forse sarebbe stato meglio così.
Inizio a tirare fuori dall'armadio tutte le magliette, i pantaloncini, i jeans e le felpe leggere  che ho e li ficco alla rinfusa nella valigia che, ovviamente, nel giro di un paio d'ore è più gonfia di una donna al nono mese di gravidanza.
Rimango ferma a fissarla per un po', chiedendomi cosa dovrei fare adesso per chiuderla senza far saltare la zip. Dubito che sedendomici sopra con i miei 50 chili cambierei tanto la situazione, così chiamo mio padre e risistemando alcuni vestiti e lottando non poco riusciamo a chiuderla e a trascinarla giù per le scale fino all'ingresso. Voglio proprio vedere come farò domani a caricarla e scaricarla dal treno visto che pesa quasi quanto me.
Decido di non pensarci adesso e mi limito a girovagare per casa raccogliendo fazzoletti, una cartina di Bristol che ho stampato qualche giorno fa, un ombrello e tutto ciò che posso ritenere utile e soprattutto che stia nella borsa. Quando finisco di preparare tutto, mio padre mi vuole parlare della casa.

«Non so che cosa ti aspetti, ma non pensare che una volta arrivata là tu te ne vada con i nostri soldi in un albergo a quattro stelle. Fin dal primo giorno dovrai dormire nella casa, così sarai più motivata a sistemarla.» inizia a dire mio padre guardandomi seriamente da dietro le lenti degli occhiali spesse come fondi di bottiglia.
«Se mi becco qualche malattia e inizieranno a comparirmi bubboni e strane macchie su tutto il corpo mi avrete sulla coscienza per sempre.»
«Claire, sei pur sempre a Bristol, non in una favela brasiliana.» mi riprende lui esasperato.«Ti abbiamo trasferito un po' di soldi sul tuo conto tanto per cominciare. Devi però trovarti un lavoro.»
«Che cosa? Non avevate parlato di lavoro. Avevate detto che dovevo solo sistemare quella baracca.»
«I piani sono cambiati e tua madre ha deciso che devi sperimentare il più possibile per essere indipendente.»
«Dove pensi che mi assumano? Ho appena finito il liceo e non ho esperienze lavorative. Le opzioni si restringono ai night club e ai bassifondi che pullulano di spacciatori.» ribatto incrociando le braccia al petto.
Mio padre fa finta di non aver sentito e continua con la lista delle regole.
«Ricordati di chiamarci spesso per farci sapere come stai e come procedono i lavori. Se c'è bisogno possiamo venire qualche weekend, ma solo se si tratta di un'emergenza.» si affretta a specificare.
«Qualcos'altro?» sbuffo. Non pensavo l'avrei mai detto, ma non vedo l'ora che l'estate finisca.
«No, ci ringrazierai a settembre.»
«Contaci. Chi non vorrebbe passare l'estate a lavare e spolverare una vecchia casa in cui sono morte due persone?»
«Tu e la tua lingua lunga. Prima o poi ti farà mettere nei guai.» è l'ultima cosa che mi dice prima di uscire dalla mia stanza per andare a preparare la cena.

Oh my ghost// Blake Richardson New Hope ClubWhere stories live. Discover now