0.7

218 28 7
                                    

Il mattino seguente scopro che a riportarmi a casa è stato Luke. Non ho idea del perché si trovasse lì e tanto meno come io abbia fatto a scambiarlo per Blake, visto che sono l'esatto opposto: uno biondo e muscoloso, l'altro moro ed esile.
In ogni caso, se il mio malessere adesso è direttamente proporzionale al mio grado di ubriacatura di ieri notte, non avrei saputo distinguere nemmeno un piatto da un orologio.
Quando ho aperto gli occhi la prima cosa che ho avvertito, dopo un mal di testa lancinante e la gola più secca e arida del Sahara, è stata la presenza di un'altra persona in casa. Luke mi ha raccontato che, dopo avermi riportata a casa, è rimasto a dormire da me per assicurarsi che non stessi male durante la notte e si è preso anche la briga di svegliarmi presto, in caso abbia le forza per andare al lavoro.
Borbotto un "grazie" e mi rigiro sul divano. Quando sento la porta d'ingresso richiudersi, capisco che se n'è andato. Sto per riaddormentarmi, quando un rumore assordante e improvviso proveniente dalla cucina mi fa sussultare. Faccio per alzarmi, ma le gambe mi cedono e mi ritrovo a terra. Mi rialzo e barcollo fino in cucina sorreggendomi sulle pareti e trovo George e Reece in piedi in mezzo alla stanza e una batteria di pentole sparse sul pavimento ai loro piedi.
«Ma che diavolo fate?» biascico spostandomi una ciocca di capelli dalla fronte.
«Devi andare al lavoro.» mi risponde George mentre Reece risistema le pentole sotto alla credenza.
«Non ce la faccio.»
«Ti sei comportata da idiota.»
George mi cammina intorno osservandomi con attenzione.
«Avrei fatto un infarto stanotte se fossi stato ancora vivo.» scuote la testa. «Portare qui quel Luke...»
«Mi ha aiutata più di quanto stiate facendo voi.» gli faccio notare.
«E sicuramente più di quanto stia facendo tu per noi.» ribatte Blake comparendo alle mie spalle.
«Blake, devi farle passare la sbornia.» gli ordina Reece tenendo una padella in mano. «Se non va al lavoro oggi, potrebbero licenziarla, il che significherebbe niente più soldi. Non riuscirebbe dunque a mantenere questa casa, tornerebbe a Leicester e noi rimarremmo bloccati qui per sempre. Quindi per favore falle passare quel dannato mal di testa.»
Il diretto interessato alza gli occhi al cielo e con la mano fa un cenno nell'aria nella mia direzione. I postumi della sbornia spariscono all'istante: niente più mal di testa, niente più gola secca, niente più sensazione di avere lo stomaco rivoltato come un calzino.
«Se solo fossi più resiliente...» si lamenta Blake.
«Ora devi andare al lavoro.» mi ordina George. «E lascia perdere Luke.»
«Sentite,» cerco di mantenere la calma «vi ringrazio, ma non serve che vi preoccupiate per ogni cosa che mi succede.»
«Vedremo.» Blake mi lancia un'occhiata di sfida.

------------------------------------------------------

Mentre sto tornando a casa dopo il turno giornaliero, mi viene la brillante idea di invitare Camila per il weekend. Oggi mi sistemano infatti le finestre del piano terra; con un frigo pieno e un soggiorno colorato la casa inizierà a prendere forma. Dopo un paio di tentativi riesco finalmente a parlare al telefono con lei e ci concordiamo per domenica a pranzo.
Sulla strada del ritorno mi fermo in un discount e faccio la spesa con gli ultimi contanti che mi rimangono. Una volta a casa metto in frigo il latte, le uova e il pane da tramezzini, il resto lo allineo sulle mensole interne della credenza. Per la prima volta da quando sono arrivata, pranzo sul tavolo della cucina che ho appena spolverato.
Nel primo pomeriggio, prima che la casa venga occupata dai falegnami, vado a comprare un paio di bidoni di tinta rossa per ridipingere il soggiorno, compito che decido di fare domani dopo il lavoro.
Entro l'imbrunire tutte le finestre sono state montate e il mio conto in banca ora sfiora quasi lo zero. D'ora in avanti dovrò risparmiare il più possibile e visto che il piano terra è ormai più che abitabile non progetto altri lavori a breve termine.
Attraverso la strada fischiettando mentre supero il cancello del cimitero. Saluto il guardiano e vado diretta al capanno, prendo i miei soliti attrezzi e mi metto a rastrellare il sentiero. Giunta alla fine, mi accorgo che c'è una persona inginocchiata davanti a una tomba.
«Mi scusi, non può stare qui.» dico avvicinandomi. Si tratta di un uomo di circa trent'anni, uno di quelli che sono conosciuti su Instagram solo perché sono di bell'aspetto, con occhi azzurri, denti incapsulati e un naso più fine di quello di una donna.
«Certo, lo so, ma il custode è facile da corrompere.» mi rivolge un sorriso forzato.
Guardo di sfuggita la tomba verso cui era rivolta la sua attenzione poco prima del mio arrivo. È la tomba di Blake. Faccio un paio di conti a mente: se ha trent'anni, probabilmente è nato nell'anno in cui è morto Blake. Come ha fatto a conoscerlo allora?
«Posso aiutarla in qualche modo?» chiedo, cercando di non lasciar trapelare la mia curiosità. «Altrimenti temo che se ne debba andare. Può sempre tornare domani.»
Lui scuote la testa e sospira. Ha ancora quel sorriso triste che gli solleva appena gli angoli della bocca.
«Non sono di qui. Domani mattina sarò su un aereo diretto verso Denver, quindi questa è la mia unica occasione.»
Rivolge di nuovo lo sguardo verso la tomba di Blake, poi mi informa che se ne sta per andare.
«Mi chiamo Louis, comunque.» mi rivolge un cenno di saluto prima di allontanarsi lungo il vialetto. «Anche se non ha molta importanza in questo momento. Non ne ha mai avuta.»
Lo saluto a mia volta e lo seguo con lo sguardo fino al cancello. Quando sparisce in un'auto scura che lo sta aspettando sul ciglio della strada, ritorno al lavoro, ma non riesco a togliermi dalla mente lo strano incontro appena avvenuto, né lo sguardo sinceramente triste - rassegnato oserei dire- che ha rivolto alla foto di Blake.

Oh my ghost// Blake Richardson New Hope ClubWhere stories live. Discover now