[11] » Guida di sopravvivenza per pranzi di famiglia «[11]

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«Eva...» Disse con voce tremante Azrael alle mie spalle. Non mi serviva voltarmi per sapere che il Mietitore fosse bianco come le pareti dell'appartamento. «Quella è la tua...» Non riuscì neanche a completare la domanda da quanto fosse sconvolto.

«Sì», risposi disperata poggiando la fronte sulla porta d'ingresso e chiudendo gli occhi.

Oh per l'amor di Poseidone se sono nei guai!

«Vado a mettermi una maglietta e un paio di pantaloni», informò il Mietitore con tono imbarazzato prima di muoversi.

«Io vado a lavarmi». Disse Helel con tono tirato, appena sentii la porta di camera loro chiudersi alle mie spalle. Lasciai andare il sospiro frustrato, che avevo bloccato in gola, solo quando sentii la porta del bagno scricchiolare e chiudersi con il Diavolo al suo interno.

E veniamo alle questioni serie. Pensai aprendo la porta. Dall'altra parte la mia famiglia era in piedi, in attesa.

Mia madre, Cecilia, con i capelli color mogano, sbarazzini stava sorridendo euforica come una bambina. Accanto a lei, mia sorella minore Serena, aveva le mani intrecciate dietro la nuca fulva e il volto lentigginoso era distorto in un'espressione che diceva: "non male".

Mio padre Giacomo e mio fratello Davide, uno dai capelli color paglia bagnate e l'altro dai capelli carota, erano tutt'altra storia.

Avevano la stessa identica espressione irritata in volto e le braccia incrociate al petto.

«Giacomo, calmati caro», stava dicendo mia madre con tono zuccheroso, «stiamo parlando di nostra figlia! Sono sicura che non sia quel genere di ragazza e che abbia una spiegazione, più che logica, del perchè aveva in sala un uomo completamente sudato e uno semisvestito». Oh! Quanto adoravo mia madre. «E poi, anche se fosse; non ci vedo nulla di male! Eva non è più una bambina e quei due ragazzi, devo riconoscere, non sono per nulla da gettar via».

«MAMMA!» Esclamai imbarazzata e tutta rossa in volto. Forse non l'adoravo così tanto.

«Oh, ciao cara!» Esclamò lei, notando la mia presenza.

«Eva!» Il tono di Davide era disperato mentre si slanciava attraverso la porta aperta e mi chiudeva in quella morsa omicida che lui aveva il coraggio di chiamare "abbraccio". «Chi sono quei due? Ti hanno fatto del male? Ti hanno toccato in qualche modo? Oh, Dio! Io li ammazzo a questi!».

Mi aggredì, urlandomi in faccia una domanda dietro l'altra, mentre mi scuoteva per le spalle.

Stavo iniziando ad avere il mal di mare.

«Davide se la scuoti ancora un po', tutto ciò che otterrai sarà di staccarle la testa». Intervenne mia sorella minore, staccandomi mio fratello di dosso.

«Rena!» Esclamai, felice di vederla e l'ingoblai in un abbraccio, ignorando gli acidi intestinali che stavano ballando la Taranta nel mio stomaco. Lei lasciò cadere la facciata da boss mafioso e mi abbracciò a sua volta, ridendo contro il mio orecchio.

«Mi sei mancata 'Va!» Esclamò.

Mia sorella aveva diciassette anni e, a sorpresa di molti, il nostro rapporto era come quello che di solito si trova tra gemelle e non tra sorella di un paio di anni di distanza.

«Ehi, ehi», attirò l'attenzione mio padre. Sia lui che mia madre erano entrati nell'appartamento e avevano chiuso la porta alle loro spalle. «Nessun abbraccio per il tuo genitore preferito?»

«Okay», risposi svelta, «darò un abbraccio a mamma da parte tua». Aggiunsi, abbracciando forte la donna dai capelli bruni che stava ridendo da matti alla mia ultima risposta.

Of Love, Death, and SarcasmWhere stories live. Discover now