[14]» Batto la mani, schiocco le dita «[14]

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EVA'S POV

La prima cosa che vidi appena aprii gli occhi furono i tratti netti, ma allo stesso tempo dolci, di Azrael.
L'Angelo era sdraiato su un fianco accanto a me, sveglio. Un braccio era intrappolato sotto la mia testa, costretto a fare da cuscino; la mano libera, invece, mi stava accarezzando lentamente i capelli.
Gli occhi erano concentrati a studiare ogni centimetro del mio volto, come se il giovane angelo stesse cercando di imprimersi nella mente ogni singolo particolare, e le labbra erano distorte in un sorriso che lasciava trapelare l'affetto che l'angelo provasse nei miei confronti.
Non era insolito che mi svegliassi a quella vista: da quando ero stata aggredita nel parco giochi, una sera sì e l'altra pure, non riuscivo a dormire a causa degli incubi. Dopo aver scoperto che l'unico modo di farmi dormire era quello di rimanermi accanto tutta la notte, Azrael aveva iniziato a controllare che dormissi ogni sera e se vedeva che stavo avendo un incubo si metteva sotto le coperte con me e mi abbracciava fino al mio risveglio.
«Un altro incubo». Dissi, sfregando gli occhi per scacciare il sonno. La mia non era stata una domanda, la presenza dell'angelo non poteva significare nient'altro.
L'uomo dai capelli e occhi scuri annuì semplicemente dopo che il sorriso che aveva fino a poco prima si fu trasformato in una smorfia di dispiacere.
Sospirai. Quando se ne sarebbero andati?
Azrael, senza dire una parola, fece aderire le sue labbra alla mia fronte per poi cingermi la vita con il braccio libero e stringermi a sé, nascondendo il volto nei miei capelli.
«Non preoccuparti degli incubi», mi disse nell'orecchio mentre il suo respiro sul collo mi fece venire brividi e pensieri poco casti. «Ci sarò sempre io qua a proteggerti».
Risposi all'abbraccio stringendomi ancora di più, se possibile, contro il petto vestito di lui, cercando di nascondere le lacrime che avevano deciso di bagnarmi le pupille.
«Che ore sono?» Chiesi, cambiando argomento mentre mi crogiolavo nel petto ampio dell'angelo e cercavo di non pensare a certe cose che si sarebbero potute fare in un letto con un'altra persona.
Il suo odore di fresco e limone riusciva o a mettere pace a ogni molecola del mio corpo, facendomi quasi dimenticare dei pericoli che correvo ogni volta che uscivo dal mio appartamento, o semplicemente riusciva a mandare in subbuglio ogni singolo ormone nel mio organismo lasciandomi imbarazzata dei miei stessi pensieri ed istinti.
«Cinque alle dieci». Mi rispose lui, il respiro che continuava a solleticarmi il collo non era di certo di aiuto alla mia mente appena svegliata.
Cercai di calmarmi pensando a quanto Azrael mi stava scompigliando i capelli e a quanto ci avrei messo a pettinarli da lì a pochi minuti.
Era una cosa odiosa avere i capelli ricci a volte.
«Ugh». Mi lamentai. «Tra poco Hel ci verrà a chiamare. Non voglio alzarmi».
«Il solito bradipo». Ridacchiò lui nei miei capelli.
«Parla l'orso perennemente in letargo». Risposi ruotando gli occhi al cielo.
«Allora dovresti stare attenta», disse e sentii il suo sorrisetto beffardo contro il mio orecchio, «potrei mordere se mi svegliassero». Aggiunse con un tono tutt'altro che ingenuo e sentii le guance diventare rosse miserabilmente per colpa di tutte le immagini che mi avevano occupato la mente.
Per la barba di Odino!
Se questa situazione fosse andata avanti il mio cuore non sarebbe stato in grado di reggere ancora per molto.
«Ehi piccioncini annidati!» Arrivò l'urlo di Helel dalla cucina. «È ora di svegliarsi! E se non siete fuori da quella stanza in cinque minuti vi vengo a tirare io giù dal letto: nudi o no!»
Mentre il petto di Azrael iniziò a vibrare della sua risata, le mie guance divennero ancora più rosse di prima e una strana voglia di nascondermi sotto il letto, mi assalì improvvisamente.
«Dai vado», disse Azrael, «così intrattengo Hel mentre tu puoi andarti a lavare». Mi baciò la fronte ed in un istante fu fuori dalla stanza.
Rimasi ancora qualche minuto sdraiata tra le coperte a contemplare l'odore dell'angelo che era rimasto intrappolato tra le fibre di cotone. Quasi mi spaventai di me stessa quando compresi come quel piccolo gesto fosse diventato parte della mia routine mattutina.
Sentendomi a un bivio tra l'essere una maniaca e una pervertita mi alzai, con il volto per l'ennesima volta in fiamme quella mattina, e mi fiondai in bagno dove mi attendeva una bisognosa doccia fredda.
Quando i capelli furono ben impregnati di acqua chiusi il rubinetto e iniziai a massaggiare la cute con lo shampoo. La mia mente si rilassò sotto i continui movimenti circolari e in un batter d'occhio fui riportata all'incursione che era avvenuta il week-end precedente.
Ma a dispetto di ciò che pensavano tutti quest'ultimo attacco non mi aveva spaventata, anzi aveva solo fatto nascere in me un'immensa furia rivolta verso il demone di nome Erezel, che i miei coinquilini mi avevano spiegato essere l'artefice di tutto.
Questo demone non aveva semplicemente cercato di uccidere me, aveva cercato di uccidere la mia famiglia.
Aveva cercato di toccare quell'idiota di Davide, aveva quasi aggredito mia sorella e aveva quasi preso le vite di entrambi i miei genitori in un unico istante; davanti ai miei stessi occhi.
Dalla gola mi nacque un ringhio che lasciai uscire e dovetti dare un pugno contro le piastrelle della doccia per calmare la furia omicida che mi era salita addosso.
Non ero sicura di come il futuro stesse messo per me e i due angeli con cui abitavo; ma di una cosa ero certa: avrei ucciso Erezel con le mie stesse mani, mai ne avessi avuto l'occasione.
Riaprì il rubinetto e, mentre l'acqua batteva persistente contro la mia pelle, la mente mi tornò alla sera dell'attacco, a come quel singolo evento avesse affetto la mia famiglia in modo irriparabile...

Of Love, Death, and SarcasmМесто, где живут истории. Откройте их для себя