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Al mondo esistono due tipi di persone: quelle decise, che sanno sempre come comportarsi nel migliore dei modi, che hanno sempre il controllo della situazione e tutti stimano per la loro determinazione, oltre ad essere l'orgoglio dei loro genitori. Ci sono poi quelli come me che si trovano in difficoltà persino quando gli viene chiesto se vogliono ketchup o maionese sulle patatine, finendo col non prendere nessuno dei due. Quelli che non hanno mai preso i voti più alti della classe, che non hanno mai partecipato alle olimpiadi di matematica e che preferiscono fare il test per scoprire che tipo di verdura sono piuttosto di pensare alla scelta del college.
Credo che quando Dio stava distribuendo la pazienza e la voglia di fare, io mi lamentavo già perché la fila era troppo lunga e c'era troppo da aspettare.

I miei genitori, entrambi autori di bestseller, sono le classiche persone con la testa fra le nuvole. Mia madre è capace di pensare ad un colpo di scena da inserire nel suo prossimo romanzo anche mentre sta dando da mangiare al nostro carlino, abbandonando la scatoletta mezza aperta sul piano della cucina e lasciando Conchi col muso in alto a fissare affamato il suo pasto per il resto della giornata, mentre lei corre su per le scale e se ne sta rinchiusa in camera davanti al computer fino a sera. Se non avete mai visto un carlino anoressico, venite a casa mia.
Insomma, due persone così creative e frizzanti come i miei genitori non si capacitano di avere una figlia così "tristemente apatica e perennemente ferma come acqua di palude", come direbbero loro, per questo rivolgono tutto il loro affetto al mio fidanzato Dylan, ballerino di danza classica che da quanto ho capito sta con me solo perché gli ricordo l'amica immaginaria che aveva da piccolo. A me non importa, tanto io sto con lui solo perché ogni tanto mi presta i trucchi che usa quando si esibisce. A volte mi faccio qualche domanda sulla sua sessualità perché andiamo, a cosa diavolo servono a un ballerino tre palette di ombretti della Naked?

«Ciao Claire.» mi saluta Dylan lasciandomi un leggero bacio sulle labbra.
«Ciao.»
Gli ho chiesto di vederci per parlare dei piani per l'estate che i miei genitori hanno deciso per me. Non so bene come iniziare la conversazione, così per un po' rimango in silenzio mentre camminiamo verso il parco dietro casa mia, mentre io giocherello con l'orlo della mia canottiera e cerco di stare al passo con Dylan, che procede praticamente a balzi.
«I miei nonni materni vivevano a Bristol. Ti ricordi, vero? Te ne ho parlato poco tempo fa.»
Lui aggrotta le sopracciglia. Chiaramente non si ricorda.
«Certo, certo.» risponde invece. «I tuoi nonni. I genitori di tua madre. Posso capire che l'arrivo dell'estate possa farti ricordare quando sono morti a... ehm... novembre e...»
Alzo gli occhi al cielo.
«Sono morti prima che io nascessi. Fai almeno finta di ascoltarmi quando parlo.» lo ammonisco irritata. Calcio un sassolino con la punta della scarpa, spedendolo contro il cancello di ferro battuto all'ingresso del parco.
«La casa è di proprietà dei miei da vent'anni, ma non ne hanno mai voluto sapere di andare a vivere nella casa dove sono morti i genitori di mia madre.»riprendo.«Troppi ricordi, un posto troppo suggestivo che influenzerebbe in negativo la loro vena artistica.»
«Tutto questo cosa c'entra con me? Mi stai proponendo di andare a convivere a Bristol? Perché se è così puoi scordarti che le mie sode terga accetteranno di poggiarsi su vecchie sedie di legno marcio. Sono fatto per Broadway, non per Stallway.»mi interrompe Dylan mentre mi tiene aperto il cancello.
«Di che diavolo parli? Non ho intenzione di andare a convivere a diciotto anni.» lo blocco subito. «Volevo solo dirti che mia madre ha avuto la brillante idea di spedirmi a Bristol per rimettere in sesto la vecchia casa dei nonni. Dice che così forse diventerò più indipendente e intraprendente.»
«E per quanto starai via?»
«Tutta l'estate.» sospiro. «Per settembre la casa deve essere come nuova. Mamma dice che cose come la scelta dei colori per ridipingere le pareti del soggiorno, cambiare le lenzuola e avere del tempo per pensare a me stessa e al mio futuro mi aiuterà ad uscire da quello che mio padre chiama "stato di torpore perenne"»
«E devi andare fino a Bristol per cambiare le lenzuola?»Dylan fa una smorfia.
«Ma no, è l'idea di fondo che conta. I miei genitori pensano che un cambiamento sia quello che ci vuole per allontanarmi dal divano e da Game of Thrones.»
Ci sediamo su una panchina all'ombra. Sono le quattro del pomeriggio e poco distante una dozzina di bambini stanno giocando sulle altalene e sullo scivolo. Li guardo distrattamente mentre rimango in attesa della reazione di Dylan.
«Non dici niente?» chiedo dopo qualche istante passato in silenzio.
«Non so cosa dire.» si stringe nelle spalle. «Credo sia un'idea folle. Passeremmo dal vederci ogni giorno al non vederci più per tre mesi.»
«Posso raggiungerti nei weekend.» propongo poco convinta.
«Io penso invece che non si possa fare. Sarebbe come avere una gamba infetta che peggiora sempre di più.»
«Dimmi che non hai appena paragonato la nostra relazione ad una gamba infetta.»
«È meglio amputarla subito.»continua lui. «Dunque ti lascio adesso, perché ti amo troppo e non voglio farlo fra tre mesi quando la nostra storia sarà un unico grumo di sangue, pus e piaghe.»
«Fai schifo, Dylan.» dico prima di rendermi effettivamente conto delle sue parole.
«È stato bello stare con te questi mesi, anche se avrei preferito che non ti tagliassi i capelli e li tingessi di nero, visto che Mandy li aveva lunghi e cast...»
«Non mi stai lasciando sul serio, vero?»sbotto incredula.
Lui non risponde e abbassa lo sguardo, imbarazzato.
«È come dire che dovrei spaccarti la faccia adesso e mandarti in ospedale perché ho paura che lo possa fare qualcun altro in futuro. Capisci che non ha senso?»
«La nostra storia non ha senso. Non penso sia normale che dopo sei mesi tu non mi abbia ancora detto che mi ami.» ribatte Dylan serio tornando a guardarmi negli occhi.
Non apro bocca per rispondere perché in fondo so che è la verità. Quando Dylan si alza per andarsene, gli urlo dietro che è un coglione.
«Almeno io so che Jon Snow in realtà è un Targaryen.» mi urla lui di rimando prima di oltrepassare il cancello del parco. Cazzo, sono ancora alla terza stagione.
Mi infilo gli auricolari e faccio partire la prima canzone triste che trovo nella libreria del mio cellulare. Dovrei anche andare a comprarmi del gelato? Non è questo che fanno le ragazze quando vengono lasciate dai loro fidanzati? Non lo so, e sinceramente poco mi importa di Dylan in questo momento. L'unica cosa a cui riesco a pensare è l'albero genealogico di Jon Snow.

Oh my ghost// Blake Richardson New Hope ClubWhere stories live. Discover now