Capitolo Due

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Oggi mi metto d'impegno e vado in cerca di un lavoro. Non posso continuare a starmene qui senza fare niente. La mia fortuna è che l'appartamento in cui vivo è di proprietà della mia famiglia, è tutto molto più semplice se non ho un affitto da pagare. Le bollette, però, arrivano lo stesso, e non ho più molti soldi messi da parte. Devo rimboccarmi le maniche. Ho fatto un po' di tutto da quando ho finito gli studi una vita fa. Non sono schizzinosa, va bene qualsiasi cosa, basta portare a casa uno stipendio. Questo paese non è grandissimo, però ha molti negozi di ogni tipo. Provarci non mi costa niente. È una bella giornata di luglio e fa già parecchio caldo per essere le otto di mattina. Indosso un vestito senza maniche di un rosa brillante, lego i capelli in una coda di cavallo e metto un paio di scarpe basse. Devo muovermi a piedi e voglio essere comoda. Un filo di trucco e sono pronta per andare a caccia di lavoro. Mi sento motivata.

Apro la porta di casa e proprio in quel momento squilla il telefono. Tempismo perfetto.

«Pronto?».

«Ciao tesoro.», saluta la mia genitrice.

Mia madre trova sempre il momento perfetto per chiamare.

«Ciao mamma. Avrei un po' di fretta.», brontolo.

«Oh, ti tengo solo pochi minuti.», mi rassicura.

Che nella sua lingua saranno più o meno venti. Appoggio la borsa sul tavolino dell'ingresso e vado a mettermi sul divano, tanto vale stare comodi, visto che non posso scappare.

«Dimmi tutto mamma.», sospiro.

«Quando vieni a trovarci? Papà vuole farti vedere il nuovo gazebo.», comincia la solita solfa.

Alzo gli occhi al cielo.

«Non lo so mamma. Pensavo di venire la settimana prossima.», le dico.

Non ho per niente voglia di farmi duecento chilometri in treno, ma non posso nemmeno dire sempre di no. Mi pento spesso di non aver mai preso la patente, ma poi dico che si può vivere anche senza macchina. Una volta su quel treno, la mia opinione cambia nel giro di pochi istanti. Questo succede tutte le volte.

«Abbiamo così tanta voglia di vederti. La nostra unica bambina e così lontana!», piagnucola.

Che palle!

«Marco abita a due metri da casa vostra.», sbotto infastidita.

Mio fratello ha due anni più di me e abita nell'altra porzione di bifamiliare, ha già due bellissime bambine. I miei hanno sempre un bel da fare e non si annoiano di certo.

«Sì, lo so, ma tu sei la nostra bambina.», pigola.

Oh signore santissimo.

«Ci vediamo la settimana prossima mamma. Devo andare ora.», sbuffo.

«Va bene tesoro. Un bacio grande grande.».

«Anche a te. Ciao mamma.».

Chiudo la telefonata e sprofondo nel divano. Le telefonate di mia mamma sono praticamente sempre uguali. Non lo so, forse se fossi madre anch'io la vedrei in un'altra ottica. Non saprei proprio. Metto giù il cordless ed esco finalmente di casa.

Quando passo davanti al supermercato, mi trovo a spiare dentro. Non vedo nessuno. Non so cosa sperassi di trovare, o meglio, non so chi sperassi di trovare. In effetti lo so, e la delusione mi si stampa in viso. Continuo a camminare guardando indietro e vado a sbattere contro qualcosa. Picchio la fronte su una serie di scatoloni pieni di non so cosa. Un dolore lancinante.

«Sta bene?», chiede la fonte della mia distrazione.

Nicholas viene subito in mio soccorso. Mi prende il viso tra le mani e controlla la fronte.

Quello che amo di teWhere stories live. Discover now