-Capitolo 3-

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Si consiglia l'ascolto con il sottofondo musicale.

Dodici anni anni prima...

Tom

Piove a dirotto, piove su quest'anima in pena. Le vesti nere che indosso riflettono il colore del mio cuore ormai in necrosi.

Oggi 22 novembre 2005 l'anima di mia madre è stata riposta in pace. La mia, invece, cade in picchiata verso l'oblio. Questa è una sofferenza incommensurabile per me che sono un ragazzino di 18 anni; il peso di una madre da lasciare andare, il peso del dolore grava sulle mie esili spalle come una presenza oscura, malevola e meschina.

Sento la cassa toracica oppressa come da un macigno. In chiesa ho odiato mia madre per avermi lasciato e tutti i parenti a presenziare solo a quell'atto finale di una tragedia già preannunciata.

Ho odiato il prete che non conoscendola, gettava lodi come semi su un arido terreno; quei semi della commiserazione non germoglieranno non vedranno nè luce nè acqua, nessun raggio tenue, solo buio e ombre.

Mentre al piano inferiore si consuma la veglia e il cibo, in onore di una madre che per i pochi che la conoscevano era meravigliosa, e che invece per molti altri era solo una povera donna abbandonata dal marito e dalla vita.
Salgo il primo gradino per allontanarmi da questo scempio, da quest'ultimo atto dell'ipocrisia che mi fa da contorno.

Sono tutti indegni di stare qui nelle mura che l'hanno vista vivere, negli oggetti di cristallo che hanno avuto l'onore di riflettere la sua immagine, nei vasi che sono stati benedetti dalle sue dita.

Mi avvicina l'unica persona che conosceva mia madre, l'unica a meritarsi la mia considerazione:  l'amica di una vita, Patricia. Mi abbraccia tra le sue esili braccia senza che io ricambi il gesto. In realtà non l'ho mai fatto in vita mia, ho un problema con il contatto fisico diretto.

Mi poggia le mani sulle gote e aggancia il suo sguardo triste al mio inespressivo e mi confessa sottovoce: << Tom caro, la mia migliore amica, la sorella che non ho mai avuto non c'è più. Voglio che tu sappia che io ci sono per te! Sei come un nipote per me ormai. Non esitare a chiamarmi ogni qualvolta ne sentirai il bisogno, anche nel cuore della notte, io correrò sempre da te!>>

La guardo, mentre abbassa gli occhi di fronte a questa sofferenza immane che ci sta consumando entrambi.
Non riesco a fare nulla in questo momento se non congedarmi con un semplice: << Grazie, Pat! >> mi allontano da lei, voltando lo sguardo verso rampa di scale.

Mi dirigo verso la mia camera, varcandone la soglia. Questa sofferenza mi sta facendo muovere come un'automa: funzioni vitali nella norma, mente che viaggia in luoghi tetri.

Accendo la luce e mi fermo sulla porta a invidiare gli oggetti inanimati: non soffrono, la vita gli scorre accanto ma nulla li scalfisce, nulla li delude e nulla li tradisce.

Mi slaccio la giacca e la getto in terra come a voler abbandonare anche quel oggetto esattamente come sono io ora: abbandonato.

Apro lentamente i bottoni della camicia, libero i polsi dalla costrizione e mi dirigo in bagno ricurvo su me stesso, ancora succube di questa sofferenza.

Mi porto davanti allo specchio che mi rimanda un me stanco. Occhiaie profonde solcano il mio volto, causate dal vegliare le ultime ore di una madre amorevole ma arrendevole, forte e debole, una donna che si era ridotta ad bambola di pezza.

E continuo ad amarla ed odiarla insieme. Le mani arpionate al lavabo, la testa sotto il getto gelido dell'acqua nel tentativo di scacciare via quell'altalenanza di sentimenti.

Mi rialzo e mi guardo ancora allo specchio. L'acqua scorre libera sul mio corpo e nel silenzio pronuncio con un filo di voce quelle parole che reciterò come preghiera perpetua: <<Mamma, è troppa questa sofferenza. Perché mi hai abbandonato?>>

Rimiro il mio riflesso smarrito. Un ragazzo sperduto nei meandri della sua perdita. 

Torno indietro nella camera, accendendo lo stereo. Quell'oggetto, seppur fatto di plastica e circuiti, mi rimanda voci, suoni e melodie vere, vive! È come se dalle casse uscissero delle braccia pronte ad avvolgermi, esattamente come la melodia che riempie queste quattro mura.

Faccio partire l'unica canzone che mi rappresenta in quel momento. Le parole di Billy Talent in This Suffering mi accolgono, mi accarezzano, e mentre le note impregnano l'aria della mia cameretta di un bambino che dentro è già un uomo, corro verso il bagno e apro il mobiletto posto tra il lavabo e la doccia, nella disperata ricerca di un qualsiasi appiglio.

Sento le parole ovattate della canzone, arrivandomi addosso con forza e prepotenza al punto da squarciarmi il petto a metà.
"la mia mente guasta prima che cada a pezzi"
Vedo un luccichio in fondo al ripiano. Sento il richiamo del rasoio da barba, unico oggetto lasciato in quella casa, ormai vuota, da mio padre.

Tocco manico con incise le sue inziali, passo i polpastrelli sopra violentemente come a voler cancellare e imprimere l'odio che nutro nei confronti di quell'uomo assente.

Faccio scattare l'apertura della lama e mi nasce spontanea la carezza e la reverenza, la paura e l'attrazione verso quel metallo appuntito e affilato, volgendo poi lo sguardo sui miei polsi.

La musica è la mia unica alleata in una guerra ad armi impari che mi guarda sempre le spalle, pronta a spalleggiarmi in questa mia atroce agonia.

Come mosso da un mano invisibile, poggio la lama sul mio avambraccio sinistro. Al suo passaggio il rosso intenso che la segue taglia e cancella ogni mia debolezza, donadomi la tanto agognata libertà da quella stretta continua al petto che mi toglie il fiato.

E guardando quelle stille vermiglie io me ne innamoro; quella è la mia via di fuga. La libertà appena provata e l'abisso che porto dentro stringono un patto, agganciando la mia mente con catene spesse e macchiate di fluido rosso ferroso.

E continuo così: tagliando e liberando me stesso. Quattro tagli per braccio e mi sento più leggero e nuovamente vivo allo stesso tempo, presente assente.

Il purupeo tinge la camicia, inzuppa i pantaloni, ma io imperterrito continuo a muovere la lama sulla mia carne; non sento nè dolore nè paura, sono me fuori di me, con nella mia mente il ricordo di mia madre che poco prima di esalare il suo ultimo respiro mi disse: <<Tom, non ti lascerò... Tom tienimi stretta la mano, mi aggrappo a te!>> La amo per avermi donato tutta se stessa nonostante la malattia ed un marito invisibile. Mi ha donato sempre un amore incondizionato.

Sento la rugiada sporcarmi il viso, non gli ha dato il permesso di palesarsi, non gli ho dato il via libera per alimentare la sofferenza, questa sofferenza.

Percepisco le membra del cuore raggrinzirsi e scricchiolare privo di fibra molle.

Sposto il mio sguardo sulla lama, la mia nuova fedele compagna. Mi guarda, mi seduce, mi spinge e mi sprona a fare di meglio, più in fondo più forte un'altra volta ed io non ho paura, eseguo come un burattino mosso da fili neri. Mi appoggio alla parete antistante e mi lascio scivolare in terra.
"la mia mente guasta prima che cada in terra"
Queste parole nella mia testa sono un loop continuo.

Mi sento finalmente in pace, le forze iniziano ad allentare la presa, mentre le catene rosse dell'oblio mi trascinano giù a sporcarmi di fango i piedi, avvolti nelle scarpe di vernice nera.

Ad un tratto la musica svanisce, il respiro si fa corto, e l'ultima cosa che ricordo sono dei passi venirmi incontro.

Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere.

Tom vive questa sofferenza davvero profondamente, e l'ho sentita anch'io attraverso lui.

Essendo un capitolo delicato niente immagini questa volta.

Dedico il capitolo e ringrazio JJLane per avermi fatto conoscere quest'altra perla musicale, e ti ringrazio davvero tanto per tutto, tutto, tutto sei davvero davvero preziosa, come poche.

L'appuntamento è come al solito sabato prossimo.





STAY TUNED
Sepmgg

L'essenza delle peonie  ~COMPLETA~Where stories live. Discover now