Illusioni di tempi andati

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Ma September aveva appena deciso di rovinare la mia concezione del mondo umano.

«Ovviamente non puoi venire ad una festa con questi addosso» disse il mago, indicando la mia comodissima felpa e facendo oscillare su e giù l'indice, in un gesto di ammonimento «Ma avevo pensato che non ti saresti nemmeno messa un abito da sera da donna, non sei proprio la tipa che si mette le gonne o che sappia come si debbano portare, che è la mia preoccupazione maggiore... perciò... uhm...» si alzò in piedi e si diresse verso l'armadietto color caffè dove di solito teneva i documenti.

Aprì le ante lentamente. Anche se era girato di spalle, sapevo che stava sorridendo. Non stava sorridendo bonariamente, però, e questo era male. Trafficò un po' con le mani, spostando cose nel caos dell'interno armadietto, e poi si voltò trionfante con una busta trasparente distesa sugli avambracci. Ma la cosa spaventosa era quella che si vedeva dentro la busta. Era un completo elegante, affiancato, scuro, appeso ad una gruccia, sotto cui si intravedeva una camicia scarlatta. Al primo impatto mi venne da storcere il naso, poi lo osservai meglio e valutai i pro ed i contro. Contro: non sarebbe stato il massimo della comodità e non era nel mio stile. Pro: poteva anche diventare il mio stile e, in fondo, era anche un po' inquietante quel rosso e quel nero. Potevo farci l'abitudine.

«Beh, Set, forse... e dico forse... lo metterò» Dissi, piano

«Perfetto, sapevo che lo avresti detto. Adesso parliamo di altro» mi rispose lui, appoggiando l'abito sulla scrivania e tornando a sedersi al suo posto.

Era sicuro di sé. Inforcò gli occhiali da vista con la montatura blu, quelli che si metteva quando dava uno sguardo alla contabilità (anche se secondo me non ne aveva bisogno), ma continuò a guardarmi da sopra le lenti con curiosità, le ciglia immobili, calate, che non mi permettevano di vedere le sue iridi come avrei voluto. Tossicchiò, più che altro per farmi innervosire, e poi si abbandonò contro lo schienale sorridendo

«Allora, lupacchiotta, sei pronta per un viaggio nelle origini lontane della tua specie maledetta?» mi chiese

«Ovviamente»

«Allora lascia che ti racconti...» allungò una mano e la posò sul dorso della mia mano destra, poi il suo sorriso si allargò ancora e la luminosità ambientale calò notevolmente.

I pochi raggi di luce solare si riflettevano sui suoi occhiali, che brillavano candidi. Non riuscii a staccare lo sguardo dal suo volto, pallido nel nero che calava su di noi. Poi la sua voce si fece vellutata come la seta ed iniziò a narrare con i toni lontani di una fiaba orientale udita in sogno.

Accadde molto tempo fa, la nascita dei primi uomini-lupo. Non si sa esattamente quando la loro specie nacque, ma fu all'incirca al tempo dei primi mammiferi evoluti, quelli dotati di placenta, come i canidi. Tuttavia gli uomini li conobbero tardi. Molto tardi.

Buio. Era come se ogni cosa intorno a me fosse scomparsa, sentivo solo il palmo della mano di September e la sua voce suadente, dolce, che mi permetteva di non perdermi in quel caldo buio.

Era il tempo del fuoco e della pietra, della paglia e del bestiame, delle case costruite su bastoni di spesso legno scuro. Era il tempo della seconda infanzia degli uomini, quand'essi ancora cacciavano pur sapendo costruire villaggi e coltivare campi, la notte dei tempi che oggi si narra con ardore, l'era in cui il glabro primate conservava ancora la sua parvenza di animale e si addentrava nella foresta tenendo in mano il bastone, strisciando, silenzioso, in attesa che la carne che vive si manifesti...

Forse era la suggestione, ma...

E fu allora, sotto le chiome scure dei boschi primordiali, laddove la luce giungeva a stento, che per la prima volta...

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