Ritorno alla vita

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No. No. No.

Non erano questi i miei piani, non era questo il modo in cui immaginavo di trionfare.

Un bip acuto mi trapanava le orecchie. Lo avevo già sentito da qualche parte, quando ancora non avevo provato il fuoco che ti brucia dentro le vene. Le mie orecchie ronzavano, ma la cosa più fastidiosa era quel bip di fondo, senza nessun altro suono. Solo lui, continuo, serrato, senza un attimo di pace, un singhiozzo lacerante, fatto di piccoli, brevi, acuti snervanti che mi sembravano andare avanti per l'eternità.

Bip. Bip. Bip.

Un rumore così penetrante da farmi impazzire. Era il suono di un abominio.

Aprii gli occhi, piano, piano... come due saracinesche, quasi ne sentii il rumore. Vidi tubi e fili in mezzo alle ciglia dorate, i bordi delle cose sfuocati.

Poi ripiombai nel mio profondo nero senza fine.

Non so quanto tempo passasse. Non sapevo più nulla, non capivo più nulla, non c'ero più.

Credo fosse quella cosa che chiamano coma, ma non posso esserne certa.

Bip. Bip. Bip.

Anni, forse mesi, forse giorni, chi può dirlo? Li passai a galleggiare nel buio.

Finché le mie orecchie non tornarono a sentire quel rumore. E avevo appena iniziato a percepirlo quando questo si spense di nuovo, non per colpa di me che ricadevo nel sonno, ma semplicemente sparì.

Aprii gli occhi.

La luce mi pizzico fastidiosamente le pupille e di scatto serrai ancora le palpebre. Mugolai, per saggiare le corde vocali. Il suono che scaturì era naturalmente basso e vibrato, niente di cui preoccuparsi.

Mi sarei anche permessa di ridere, non era una cattiva idea ed allungava la vita. Perciò iniziai.

Ad occhi chiusi, ridevo. Si, ero completamente fuori di testa, ma chi se ne importava? Ero felice di essere viva e di non sentire più il bip. Ero felice anche dell'odore di alcool che aleggiava nell'aria, visto che riuscivo a sentirlo. Ero felice del lenzuolo ruvido. Ero felice della mia voce, della mia risata altalenante che suonava malvagia, della capacità di muovere ancora le dita, delle mie unghie non del tutto regolari che mi conficcai nei palmi, nel pizzicore che ne derivò, della luce e del pulviscolo che turbinava in aria e che vedevo attraverso le ciglia.

E fui ancora più felice quando udii passi inconfondibili e affannati in ciabattine di resina che si avvicinavano a me. Girai la testa da un lato e smisi di ridere, di colpo

«September» dissi, aprendo gli occhi.

Lui mi guardò con un'espressione indecifrabile a metà fra il terribilmente felice e il felicemente terribile, poi mi si scagliò addossò, rischiando di farmi rotolare giù dal letto e abbracciandomi

«Fu ria do ro» singhiozzò, proprio dentro il mio orecchio destro.

Rimanemmo immobili così, il suo piccolo corpo caldo avvinghiato al mio, tanto fermo da sembrare uno straccio gettato, ed io un pezzo di marmo. Poi la mia mano si mosse verso la testa di Set e affondai le dita nella massa morbida dei suoi capelli scompigliati

«Che cosa c'è?» chiesi, a bassissima voce «Qualcosa non va?».

Lui stette un attimo in silenzio, il fiato caldo che mi scendeva lungo il collo, poi rise

«Niente, niente non va!» urlò, staccò la testa da me e mi guardò negli occhi come se li vedesse per la prima volta, con stupore infantile «Tutto va come dovrebbe andare e tu non sei morta, non sei morta!».

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