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Inspiro. Espiro.
Inspiro. Espiro.
Fisso la porta di casa, una gamba fa su e giù in un tic nervoso.
Manca poco all'arrivo di Amelia e tra una manciata di minuti inizierà la festa per il mio compleanno.

Il primo dopo tanto.

È strano, lo ammetto. Negli ultimi anni avevo totalmente cancellato dal calendario questa data. Il quattro aprile era per me un semplice numero, uno da dimenticare; una giornata senza colore.
E adesso, invece, mi sento emozionato tanto che il cuore minaccia di uscire dal mio petto, ogni tanto schiaccio lo sterno per assicurarmi che tutto sia al proprio posto. Un gesto sciocco, eppure è bello ascoltare il rumore prepotente a rimbombare lì dentro.
Come cambiano le cose; come muta il fato di una persona in seguito a delle semplici modifiche.

«Damien, porta anche una felpa, nel caso avessi freddo» si raccomanda Jason lanciandomi un'occhiata dal divano su cui è seduto.

«E, Damien, portati anche uno scialle, semmai avessi voglia di diventare un nonno» lo imita Daniel, sussurrando al mio fianco per non essere udito.
Dall'espressione torva di mio fratello, però, credo abbia compreso il suono della presa in giro.
Rido. Rido nervoso e mi passo le mani sulle braccia, non sono neppure così certo di aver ascoltato le loro parole.

«Ehi, non costringermi a ricominciare il giro dal principio. Sarai capace di trascorrere la serata senza problemi ma, cosa più importante, non dovrai chiuderti nel tuo solito silenzio stampa quando non saprai cosa dire» dice Daniel e mi fissa intensamente.

Lui, più di tutti, desidera che la mia vita torni a girare.

«E, se dovessi aver bisogno di una traccia di amicizia da tenere al tuo fianco, chiedi aiuto a...» e si indica il polso nudo con la punta dell'indice, mostrando un sorriso felice e un'occhiata eloquente.
Guardo subito il mio braccio e l'oggetto scintillante che avvolge la pelle con delicatezza.
Daniel conosce la mia passione per gli orologi e me ne ha preso uno nuovo come regalo di compleanno. Osservo il cinturino di cuoio, scruto le iniziali impresse sul bordo dell'allacciatura, le stesse che ho fatto incidere sul bracciale di metallo del mio migliore amico.
Sorrido e sfioro con i polpastrelli le due D unite da un filo color oro.

«Siamo due contro una, cosa può accadere di male?» esclama Daniel con una risata complice. Sussulta preso alla sprovvista quando sente il campanello della porta suonare e forse, sotto sotto, un pochino anche lui è ansioso per me.

Mi rizzo in piedi. Neanche se ci fosse stata una molla sulla sedia sarei stato più svelto di così.
Ingoio e ingoio ancora.
Devo stare calmo, respirare e provare ad essere me stesso.
È super semplice dirlo che prima o poi riuscirò a metterlo in pratica senza problemi, lo giuro. Cavolo, questi sono i brutti pensieri prima della partenza verso una meta, poi spariranno.
Vado verso la porta e noto la mia mano tremare mentre le dita afferrano la maniglia.

Inspiro. Espiro.

Forzo la presa e la abbasso, permettendo all'aria di entrare nella casa. Socchiudo la porta con una tale lentezza che mi sembra di essere un condannato a morte pronto per la pena finale, la sedia elettrica a qualche passo da me.

Amelia mi sorride e io la fisso a mia volta, la bocca aperta e le palpebre spalancate.
È stupenda. So di ripetermi spesso, ma stavolta lo è ancora più del solito.
Indossa dei normali leggings bianchi infilati in un paio di stivaletti comodi; una maglia con le maniche da pipistrello nera le lascia scoperto il collo e la curva sinuosa della clavicola; una borsa celeste chiaro con le frange pende dai suoi fianchi e la tracolla è comodamente poggiata sul suo petto.
Non è solo l'abbigliamento sobrio a renderla meravigliosa, ma sono i suoi occhi verdi messi in risalto da un velo di trucco utilizzato con abilità, unito ai capelli lasciati sciolti da un lato del volto; una capigliatura fluente e morbida che la rende dannatamente elegante.

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