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Lancio di nuovo un'occhiata al mio migliore amico. Lo osservo indicarmi un paio di magliette e provarsele sul petto, ridendo alle sue stesse battute su come lo facciano troppo alto o siano eccessivamente strette da soffocare.
Daniel è... rilassato.
Due settimane fa, prima di tornare a casa ubriaco e confuso dalla serata in discoteca, avevo la sensazione che nei suoi occhi si fosse distesa una grande ombra. Eppure, adesso sembra essersi attenuata, sostituita da qualcosa di nuovo.
È solare come non lo è mai stato prima d'ora.
Certo, c'è ancora qualcosa che lo preoccupa e che a volte lo blocca talmente tanto da costringerlo a riprendere il respiro, ma non è nulla in confronto a com'era prima.

Non ha voluto dire nulla, solo di aver finalmente parlato con se stesso. Se stesso, e un tipo conosciuto al locale di nome Manuel.
È ricorrente nei nostri discorsi e, a volte, l'ho ascoltato chiacchierare amabile con lui al telefono, ridendo come uno stupido.
Ormai, dopo tutti questi anni, ci ho fatto l'abitudine. Per Daniel farsi nuovi amici è come respirare l'aria.

«Questa sarebbe perfetta per te» mi dice rigirando la stampella, posandomi addosso una t-shirt viola monocolore. Fa una smorfia. «No, troppo serio, ma aspetta... tu sei serio e noioso!» esclama con una risata e io lo colpisco con un pugno sul braccio.

«Come mai sembri sempre ubriaco? Non hai ancora smaltito i drink dell'altra sera?» gli chiedo ironico affiancandolo mentre muove le grucce con aria pensierosa.

Mi scocca uno sguardo sornione. «Sono ubriaco di vita» dice serio e io alzo gli occhi al cielo.

Ecco, è tornato il Daniel che pensa solo a ridere e a scherzare su ogni cosa senza prendere gli argomenti in maniera seria.
Ne sono contento, mi mancava.

«Serve una mano?» ci domanda la commessa avvicinandosi cordiale.

Daniel scuote la testa. «Per questo qui servirebbe un'intera flotta di personale» risponde ammiccando indicandomi con un cenno della mano.

Stringo i denti.
No, tiro indietro il mio discorso. Non mi mancava affatto.
Si scambiano delle battute mentre io mi defilo, cercando di passare inosservato.
Il mio desiderio non è certo quello di essere messo ancora in imbarazzo.
Sono venuto qui dato che, secondo lui, me ne intendo di accostamenti di colore.

Daniel ha deciso di rubare qualche soldo a suo padre. Non l'ha mai fatto prima ma, a detta sua: "Quel bastardo avrebbe speso tutto in birra e liquori. Perché non approfittare del suo stato ubriaco e guadagnarci qualcosa? È ora di farsi furbi", il tutto unito a un ghigno poco rassicurante.

Rubare non è mai un buon comportamento ma credo che, almeno in questo caso, se lo possa permettere.
Insomma, una piccola rivincita, giusto?

«Allora, hai gettato la spugna?» chiede tornando accanto a me, beccandosi uno sguardo storto.

«Dimmelo tu. Non ero io quello impegnato a chiacchierare a vanvera.»

Finge un'espressione imbronciata. «Scusa. Lo prometto, rimarrò attaccato alla tua maglietta, nel caso dovessi perdermi in altri discorsi» scherza sfiorando la stoffa della maglia, e io prontamente mi allontano con uno scatto.

«Idiota, ti suona il cellulare», lo rimbecco e sollevo un paio di grucce, mostrandogli dei disegni e intrecci di colori che gli fanno brillare gli occhi, «mi aspetto di sentire le tue scuse, oltre al dirmi che sei tu a fare schifo nelle scelte» sussurro sogghignando, osservandolo tirare fuori il telefono dalla tasca.

Legge il numero e prende fiato un paio di volte, si schiarisce la gola e senza pensare si sistema i capelli guardandosi nello specchio attaccato alla parete.
A cosa serve il suo gesto? Il suo interlocutore non può vederlo.
Talvolta i suoi comportamenti sono così strani.
Annuisce convinto, trovando finalmente il coraggio di rispondere.

DestinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora